Scrivendo delle “Norme tecniche di attuazione alla Variante del centro storico (VCS)” poco leggibili e di incerta interpretazione. Non sarà forse un effetto voluto ma è un fatto che il documento, redatto dall’Assessorato all’urbanistica e presentato alla città lo scorso 20 dicembre, non brilli per chiarezza.
Eppure si tratta di un documento essenziale, quello in cui viene spiegato (o non spiegato) in modo dettagliato cosa si può e cosa non si deve fare nel momento in cui si intenda modificare un edificio o una serie di edifici situati nel centro storico della nostra città.
A confronto delle Norme, la Relazione generale allegata alla variante è più chiara, ma essa spiega soltanto “la filosofia” del piano e non ha valore prescrittivo.
Scendiamo nel concreto con un esempio. Un architetto o ingegnere che voglia cercare le indicazioni su cosa sia possibile fare (o non fare) per ciascuna unità edilizia deve saltare numerose volte da un punto all’altro del testo.
Una difficoltà pratica non indifferente ma anche un motivo di incertezza. “Avrò visto tutto quello che mi sarebbe utile conoscere?” potrebbe chiedersi il nostro ‘addetto ai lavori’. Gli resterà infatti il dubbio che gli possa essere sfuggita qualcosa.
Scarsa chiarezza, inoltre, comporta il rischio che possano verificarsi casi di incerta interpretazione. E aprirsi pericolosi spazi di discrezionalità o di contenzioso.
Un suggerimento viene dall’architetto Aurelio Cantone che, nella sua nota di accompagnamento alle osservazioni presentata all’Assessorato all’Urbanistica, afferma che é “necessario, ad esempio, che tutte le prescrizioni per ogni intervento per singola tipologia edilizia siano organicamente accorpate secondo una logica consecutio nell’ambito dello stesso articolo, o di ‘famiglie’ contigue di articoli”.
Ancora. Il criterio di classificazione adottato, quello per Tipologie edilizie, è tecnicamente adeguato?
Prendiamo ad esempio l’Area interna all’Ospedale Vittorio Emanuele. Tutti gli edifici esistenti, ad esclusione dei due corpi storici che affacciano su via Plebiscito, sono classificati in maniera indistinta come ‘A12-edifici contemporanei per usi specialistici’.
Non sarebbe stato il caso di distinguere quelli che potrebbero rientrare in ‘A3-edifici specialistici non monumentali’, quelli più recenti che sono a volte dei prefabbricati e quelli contemporanei di pregio come il nuovo Auditorium ‘De Carlo’ nel cortile dei Benedettini?
Un’osservazione poco attenta dei dettagli (o sarà stata la fretta?) ha finito per generare errori anche macroscopici.
E’, del resto, proprio lo strumento urbanistico scelto, quello della Variante, ad avere caratteristiche di minore accuratezza e precisione rispetto, ad esempio, ad un Piano particolareggiato del tipo di quelli utilizzati con buoni risultati in altri centri urbani siciliani come Ragusa Ibla e Siracusa-Ortigia.
Un Piano di questo genere richiede, però, tempi più lunghi (ma oggi la politica è fatta di interventi veloci, ‘visibili’ anche se sommari e generici) e maggiori spese per effettuare analisi preliminari più attente.
Viene a mancare soprattutto una visione d’insieme e, piuttosto che ripensare nella sua complessità il territorio su cui si vuole intervenire, ci si limita a regolamentare gli interventi sulle singole unità edilizie.
Gli interventi ammessi sono divisi, in prima istanza, in interventi diretti e interventi indiretti.
Gli interventi diretti sono quelli che i privati possono realizzare dopo aver presentato una semplice DIA (Dichiarazione di inizio attività) che rende molto difficile un controllo sulle opere che si intendono realizzare.
Per diverse tipologie edilizie è prevista la possibilità di abbattere e ricostruire oppure ristrutturare radicalmente l’interno mantenendo solo il prospetto. In molti di questi casi è prevista anche una premialità in termini di aumento di cubatura che può arrivare anche al 35% dell’esistente.
Che senso ha permettere un ulteriore aumento di cubatura quando la stessa Relazione generale riconosce che c’è già una notevole eccedenza di cubatura rispetto alla popolazione residente?
Si potrebbero prevedere altri tipi di premialità, ad esempio una premialità fiscale (sconti sulle varie tasse che gravano sulla proprietà edilizia) come quella proposta dall’architetto Cantone. Avrebbero lo stesso effetto di incentivare i privati senza aumentare ulteriormente la densità del costruito.
Discorso analogo può essere fatto anche per gli interventi trasformativi di ristrutturazione edilizia che consentono, a parità di volumetria, l’aumento delle superfici utili fino ad un massimo del 30%, anche con l’inserimento di nuovi solai.
Gli interventi indiretti sono quelli che si possono attuare solo a seguito di un progetto complessivo redatto dall’Amministrazione pubblica o da privati. Riguardano i piani di recupero e i comparti di ristrutturazione urbanistica e di rifunzionalizzazione.
I piani di recupero (assimilabili a un piano particolareggiato) riguardano 5 sottozone (Antico Corso, Lumacari, Palestro-Fortino, Civita, San Berillo) dove gli interventi diretti dovranno essere subordinati ad un progetto di recupero complessivo da redigere a cura dell’Amministrazione, ma si tratta solo di futuribili intenzioni definite in modo molto generico e indeterminato.
I comparti di ristrutturazione urbanistica riguardano invece aggregati di più unità edilizie particolarmente degradate che coincidono con un isolato, dove si potrà intervenire sulla base di un progetto d’assieme redatto in seguito ad un accordo consortile tra tutti i proprietari (con la maggioranza di almeno il 51%) e approvato dall’Amministrazione.
In questi casi è prevista la possibilità di inserire elementi di architettura contemporanea mentre le volumetrie demolite potranno essere ricostruite con un incremento del 35% solo se sarà dimostrato il loro utilizzo da almeno 3 anni dalla presentazione della VCS.
Questo tipo di intervento potrebbe essere un caso interessante di collaborazione fra privati e pubblico, ci si chiede, però, se non ci sia il rischio che favorisca investimenti di capitali di dubbia provenienza e costringa i proprietari in minoranza ad accettare soluzioni onerose.
Cosa ne sarà delle aree ospedaliere in via di dismissione (Vittorio Emanuele, S. Marta, S. Bambino)? La Variante se ne occupa in modo molto generico.
Si dice che vi si potrebbe fare tutto e il contrario di tutto -attrezzature, parcheggi, edilizia privata, edilizia universitaria, verde pubblico, funzioni terziarie, commerciali, ricettive- cioè non si dice niente. Viene, in buona sostanza, sottovalutato il fatto che si tratta delle uniche aree di una certa consistenza sulle quali si può intervenire per creare quelle attrezzature, come le aree verdi, di cui questa parte del Centro storico è fortemente carente.
Si tace del tutto sui grandi contenitori (ex conventi e monasteri quasi tutti di proprietà pubblica), il cui attuale utilizzo (o non utilizzo) potrebbe essere ripensato.
Nessun approfondimento sulla zona del Centro iscritta dall’Unesco nella lista del Patrimonio dell’Umanità. Non sarebbe il caso di cogliere questa occasione per redigere un ‘Piano di gestione’ d’insieme, fra l’altro richiesto dallo stesso riconoscimento Unesco, anche allo scopo di chiedere dei finanziamenti mirati?
Non bisogna, infine, dimenticare che anche questa Variante sarà approvata in assenza di un nuovo Piano regolatore generale che viene ulteriormente rinviato con la motivazione formale che sarà più opportuno redigerlo quando verrà definita l’Area metropolitana.
Sarà anche una motivazione reale ma forse nasconde quella più concreta dell’urgenza di far ripartire il settore dell’edilizia privata, fra i più colpiti dalla perdurante crisi economica.
C’è però il rischio di introdurre -con la Variante e col Regolamento
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La confusione della “variante” non è casuale, ma è predisposta dalle stesse malcelate logiche politiche che continuano a devastare Catania. Sarà infatti necessaria una interpretazione, caso per caso, per mano degli addetti politici nominati al governo cittadino delle domande di nuove concessioni edificatorie o di ripristino di vecchi fabbricati. Come dire che a Catania i cittadini se ne debbano fregare della certezza delle norme.
Significativo resta il fatto che ancora oggi non esista dopo quattro decenni un PRG aggiornato che supporti e giustifichi tale “variante”.
Inquietante resta il fatto che tale “variante” tace del porto che è parte storica del “centro storico” e tace sul milione e mezzo di metri cubi di edifici di ignota destinazione di cui la attuale amministrazione comunale vorrebbe così far credere di non sapere nulla.