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Tutti precari, stranieri e italiani

Immaginate un uomo. Uno straniero ben inserito in Italia grazie soprattutto al lavoro in fabbrica, che gli ha permesso di ottenere il ricongiungimento familiare e un’abitazione decorosa. Immaginate adesso che lo stesso uomo venga licenziato perché l’azienda è costretta a ridurre il personale a causa della crisi economica.
Al licenziamento si aggiunge la
difficoltà di trovare un nuovo lavoro e, di conseguenza, l’impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno perché non si ha più un lavoro documentato. Allora, per effetto dell’introduzione del reato di clandestinità fortemente voluto dal Governo Berlusconi – Bossi (e non ancora eliminato), lo stesso uomo rischia di essere internato in un CIE e perseguito dalla legge… “una legge che fa di un lavoratore disoccupato, l’autore di un reato”.
A dirlo è Enrico Pugliese nel suo breve saggio “La crisi, i migranti e il mercato del lavoro” pubblicato nella raccolta “Cronache di ordinario razzismo” (di cui Argo ha già parlato).
Paradossalmente i problemi più gravi sono sorti per gli stranieri che vivono in Italia da molto tempo e si erano radicati nel territorio del centro nord, lavorando in fabbrica e nel settore dell’edilizia.
Sono settori fortemente colpiti dalla crisi e gli stranieri coinvolti, trovandosi in poco tempo in una condizione di illegalità, sono stati costretti a trasferirsi nel Meridione dove è più facile essere impiegati in rapporti di lavoro in nero e di sfruttamento, soprattutto nel settore agricolo.
Gli stranieri arrivati da poco in Italia, invece, occupano tendenzialmente fette di mercato poco colpite dalla crisi o, addirittura, sviluppatesi proprio a seguito della crisi. E’ il caso delle “badanti”, per lo più donne e straniere disposte ad assistere gli anziani ad un prezzo decisamente più vantaggioso rispetto alle tradizionali case di riposo.
Assunzioni a tempo determinato e riduzioni di salario hanno comunque fatto aumentare il livello di incertezza e peggiorare le condizioni di lavoro.
Una situazione che riguarda però non solo gli straniei ma anche i giovani italiani, che sempre più spesso si trovano costretti a svolgere lavori sottopagati e precari oppure tirocini gratuiti, peculiarità tutta italiana che svuota di significato l’idea stessa di dignità del lavoro.
Per questi motivi sono sempre di più i ragazzi italiani che emigrano all’estero in cerca di condizioni lavorative migliori, mantenendo la tradizione italiana di paese d’emigrazione nonchè crocevia del fenomeno migratorio, terra di partenze e arrivi.

Argo

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  • Un capannello di persone che in breve tempo diventa una lunga coda.
    Siamo davanti alle porte chiuse di un'agenzia per l'impiego di Pesaro.
    È una domenica sera. Il giorno dopo saranno assegnati 38 tirocini in aziende le più diverse a 650 euro lordi per sei mesi. Nessuno sa esattamente di che lavoro si tratta. A prepararsi a trascorrere la notte con coperte, panini, qualche sedia da campeggio sono giovani, uomini e donne, alcuni laureati, altri con un diploma. I posti verranno assegnati in ordine di presentazione della domanda. Bisogna dimostrare di essere disoccupati da almeno un anno e avere ISEE (Indicatore situazione economica equivalente) inferiore ai 12.000 euro annui. Paga bassa e nessuna certezza di continuità, ma tanta fame di lavoro. È un piccolo spaccato d'Italia. Una condizione che colpisce prevalentemente le giovani generazioni come fosse una malattia o un'epidemia e preoccupa non solo perché costringe ad una precarietà economica tanto difficile, ma per una sorta di dignità precaria a cui quei giovani sono condannati. Aspettando di constatare l'efficacia delle risposte del governo, per ora l'unica risposta è quella del direttore del Job Center di Pesaro, che ha deciso l'apertura straordinaria dei locali del centro, per far trascorrere ai giovani la notte al coperto, ed è rimasto ad attendere con loro l'apertura degli uffici.Pax Christi Pesaro

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