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S. Agata nel '700 "tra devozione e dissipazione"

Oggi è il 5 febbraio, festa di Sant’Agata. In realtà è il clou della festa chè da giorni vediamo le candelore in  giro per Catania. Ma la festa di Sant’Agata è sempre uguale a se stessa? Si svolge da sempre allo stesso modo? Ce ne parla l’abate Domenico Sestini in una lettera datata 10 febbraio 1775. 
Sestini nacque a Firenze nel 1750 ma venne giovanissimo a Catania dove divenne ben presto il “custode”, ovvero il curatore della biblioteca e del museo del principe di Biscari.
Sestini tenne l’incarico fino al 1777, e nei tre anni che restò nella città dell’Etna, prima di passare in Turchia, non solo predispose una “Descrizione del Museo d’antiquaria e del Gabinetto d’istoria naturale di S.E. il signor principe di Biscari” (1776), ma anche visitò con l’occhio del geografo, dell’economista e dell’etnografo città e campagne della Sicilia orientale.
Ne dà conto nei primi cinque dei sette volumi delle sue Lettere scritte dalla Sicilia e dalla Turchia a diversi suoi amici in Toscana. Vi riproponiamo la lettera nella quale il colto abate descrive e racconta la festa di sant’Agata. Naturalmente punteggiatura, lessico, stile, sono quelli dell’epoca.
La festa di Sant’Agata Patrona di Catania
Catania 10 Febbraio 1775
Se con questa mia vi dò una breve descrizione della Festa di Sant’Agata che qui ho veduta celebrare, non crediate già di riceverne molte più di simil fatta. Mi sono indotto di farvi questa perchè si tratta della Patrona della Città nella quale sto per ora di permanenza, e perchè nelle Città Cristiane son quelle che interessano di più il Popolo; parli la festa del nostro San Giovanni per tutto il resto.
La Devozione che hanno i catanesi per questa Santa è tanto grande , che se fosse permesso di dir quel che ne sento si potrebbe dubitare che passasse dalla banda di là.
Ma la massa del popolo non è capace di conoscere la distinzione del culto, e Iddio accetta di buon cuore.
Fino del dì 27 gennaio collocarono in chiesa il Tabernacolo, nel quale si deve trasportare la Santa a processione. E’ il medesimo tutto d’argento di forma quadrata, ed istoriato dei fatti allusivi alla Santa.
Appena che i ragazzi lo veggono, ad alta voce principiano a gridare per la Città tutta, e nella stessa Chiesa: Evviva Sant’Agata, evviva Sant’Agatuzza. Ed ecco, che vi farà meno specie la strepitosa devozione dei Greci, e di altri orientali quando il Sabato Santo nella chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme stanno attendendo il loro supposto Fuoco sacro dal Cielo.
Arrivati alla prima Domenica che ne viene dopo il dì 25 Gennaio i medesimi Ragazzi con cappa bianca portano un Tabernacolo ponendo dentro una Bara, e con questo girando per la Città’, dando in tal guisa mossa alla Festa.
Il Lunedì 30 Gennaio furono fatte nella Piazza della Cattedrale varie Logge, e Casotti di legno per servizio di diversi mercanti che portano a vendere le loro mercanzie che vi è una Fiera franca per quindici giorni. Qui voi osserverete che non è Catania sola che da una pompa sacra sappia trarne profitto il Commercio e la politica di uno Stato. Dunque tenghiamo sempre conto de’ nostri Patroni, che sempre ci assistono in una maniera, e nell’altra.
La mattina del dì primo di Febbraio veddi tutto il Popolo in gran gala che andava divertendosi spassegggiando intorno alle dette logge.”  Il giorno vi fu corso con quantità grande d’uomini, e con mancanza di donne, ed appena ne veddi una dozzina ai balconi, cosa che stuferebbe ! nostri Toscani.
Un’ora, e mezzo avanti sera principiarono le corse dei Cavalli che furono tre; la prima fu di tre Cavalle, la seconda di tre Cavalli, e la terza pure di Cavalli, e tutte col Fantino sopra. Quello che vince lo fanno spalleggiare per il corso, mettendogli un cappello in testa, una spada alla mano, e alle spalle un manto.
Il dì 2 febbraio, giorno della Candelaia, vi fu gran servizio di Chiesa coll’intervento del Senato. Nel dopo pranzo poi vi furono due corse, ed il Senato si portò allo spasseggio a cavallo, proceduto da un piccol numero di Soldati a cavallo con una Banda di strumenti militari, e d’appresso ne veniva il Vescovo con la sua Corte. Ed alla rovescia di noi, invece di fermarsi alla scappata, andarono a posarsi alla riparata. Le Corse terminarono tardi, dopo le quali il Senato se ne tornò come prima, e la Città fu questa sera illuminata.
La mattina poi del dì 3 furono fatte altre tre Corse. Ed il giorno fu lo spasseggio delle carrozze con qualche mascherata. Qui il numero delle donne fu grande, ma nella maniera che vanno vestite sembra che siano sempre in lutto, mediante il manto nero che portano; e di tutta la persona, appena si vede un occhio. Il Senato e il Vescovo venne questo giorno per il Corso a cavallo.
Sulla sera fu lasciato il profano, e si venne al sacro, e fu fatta una processione, detta dei Ceri, che portano in offerta alla Santa. Consisteva la medesima nei Seminaristi, nei Canonici della Cattedrale, seguitata dal Vescovo in piviale, e dal Senato.
Ne venivano quindi alcune macchine molto simili ai nostri Carri che si conducono costì a San Giovanni nel giorno della ricorrenza della Natività di detto Santo. Queste macchine sono attenenti a diverse Compagnie, o siano Maestranze, l’ultima delle quali, che è un gran Carro trionfale, appartiene ai maestri d’ascia, o siano Legnaioli.
La sera fui condotto a un Teatro privato di un Cittadino di questa Città; e dopo la Commedia tornandomene a casa, altro io non sentiva gridare per le strade se non Evviva la Santa, evviva Sant’Agata e per quella notte non vi fu modo di dormire.
A tutte le pubbliche espressioni di questo devoto fervore , molto contribuisce la clemenza del clima di questa Città. Vi assicuro che se il mese di Febbraio di Catania avesse corrisposto alla stagione, che ordinariamente si soffre in codesti nostri Paesi, si sarebbero sentiti meno devoti nottambuli, ed io avrei potuto riposare. Stracco adunque di passar bianca quella notte, mi levai così infastidito due ore avanti giorno, e andai alla Chiesa, dove fu cantata la Messa alla capella della Santa.
Fu quindi posta nel Tabernacolo la Bara con entrovi il Corpo di Sant’Agata, e la gente tutta in sacco la portarono a precessione girando le mura della Città. Ma che si vede mai in tale occasione? Un disordine, ed una confusione estrema. Molti in cappa girano in qua e là per la Città divertendosi, e andando intorno a branchi di donne, dette Intoppatelle, le quali coperte col solito manto fingono, e non si danno a conoscere, scherzando con I’uno, e coll’altro domandano la Fiera, volendo esigerla quasi per forza, che molto mi divertiva tal novità.
La Processione poi consiste solamente in portar la Bara della Santa, ed in alcuni grossissimi Ceri, che collocati in diverse macchine sono portati lontani dalla medesima. Quando la Santa arriva ad una Chiesa detta Sant’Agata la Vetere, qui cantano la Messa, e in questo tempo il Senato col Vescovo pranzano; e dopo si prosiegue la Processione.
A mezzogiorno io la lasciai, e andai a far quel che aveva fatto il Vescovo, e il Senato, e dopo con diverse persone di mia novella conoscenza, incappato come gli altri mi portai alla Processione girando in qua, e in là; e questa è l’ora nella quale le Intoppatelle fanno meglio il loro negozio. La bizzarria delle varietà che trovai in questa Festa fra il sacro, e il profano fu per me qualche cosa di ammirabile; girando però il mondo bisogna più volte trovarsi a questi casi.
Ma seguitate a sentire. Verso il tramontar del sole mi levai la cappa, e me ne stetti in maggior contegno seguitando la Processione, ed allora mi ricordai di quel Proverbio, che non è l’abito quello che fa il Monaco. Terminò la Processione a due ore di notte, la quale durò nella descritta maniera per lo spazio di quindici ore. Ricondotta che fu la Santa in Chiesa tutti di nuovo si sforzarono a gridare, evviva Sant’Agata, evviva Sant’Agata, e con questi clamorosi evviva terminò come vedete la giornata.
La seguente mattina del dì 5 giorno della Santa fu cantata la Messa in musica coll’assistenza del Senato, il quale intervenne alla Compieta per tutta la settimana. Il giorno furono parimente cantati i Vespri in musica. La sera vi fu grande illuminazione e la Santa che era stata esposta sull’Altar Maggiore fu rimessa nella sua Cella, e così ebbe termine questa Solennità, che ho trovata mista di un’estrema Devozione, e di buona dote di dissipazione. Addio.

Argo

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  • Se Domenico Sestini è fiorentino penso che anche la famiglia Biscari di Catania sia di origine fiorentina. A Firenze col termine "bischero" si indica una persona poco accorta. Narra la legenda che questa nobile famiglia dei Bischeri possedeva un palazzo alle spalle del Duomo di Firenze e la Curia voleva comprarlo offrendo una somma ingente, ma il principe si rifiutò ripetutamente. Purtroppo il palazzo,non si sa come, andò in fiamme e quindi fu costretto a darlo per pochi fiorini.Ovviamente il popolo fiorentino ritenne che il rifiuto a vendere il palazzo prima dell'incendio è stato un imperdonabile errore. Da qui il termine "bischero" e quando uno commette una stupidaggine si dice che ha fatto una "bischerata". P.S.Il documento storico del Sestini è una bella pagina.

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