‘Io vado a Lampedusa’, con questo slogan il collettivo Askavusa (nato nel 2009 sulla spinta delle proteste contro la realizzazione di un CIE – Centro di identificazione ed espulsione- voluta dall’allora ministro degli interni, Maroni) prova a sviluppare un’altra idea dell’isola, partendo dalla constatazione/contestazione del fatto che “Lampedusa ha subito da parte dello stato italiano una sorta di colonizzazione interna che l’ha ridotta o a palcoscenico per politici e politicanti vari o a laboratorio di repressione e militarizzazione”.
Allora, anche una nuova proposta turistica può servire a rompere sia l’isolamento sia il continuo stato di eccezione cui sono sottoposti gli abitanti.
Può essere utile per rimettere in discussione la pressione mediatica di chi ha raccontato “le migrazioni a uso e consumo della politica e degli interessi milionari che girano intorno al business delle migrazioni”.
‘Io vado a Lampedusa’ deve perciò servire a riconquistare la “normalità”, senza, però, che tutto ciò avvenga contro i migranti, rispetto ai quali, al contrario, bisogna, a partire da un’analisi seria dei motivi che li costringono a fuggire dai paesi di origine, lavorare per percorsi di integrazione, perché non c’è cosa peggiore della guerra fra gli ultimi.
Proprio perché stanchi del “piagnisteo infinito che si è risolto con scelte repressive (vedi i centri di detenzione per migranti o i respingimenti) e militari (vedi frontex)” i componenti di Askavusa provano a ‘ribaltare il tavolo’.
Lampedusa e Linosa non hanno bisogno di carceri e caserme, vogliono vivere di turismo e pesca, ma anche diventare punto di riferimento positivo nel Mediterraneo.
Vorrebbero, per esempio, che si costruisse un grande ospedale “che potesse servire tutti coloro che vivono nel Mediterraneo: Lampedusani, Linosani, pescatori, migranti, viaggiatori, turisti”.
Da qui l’appello finale: “venite a scoprire dei posti unici, a incontrare queste piccole comunità, attraversate da mille contraddizioni […] siamo comunità frammentate che devono recuperare l’unità e riscoprire la loro storia. Il turismo può trasformarsi da semplice attività economica (che ha fatto anche molti danni) a stimolo per autodeterminarsi e scoprirsi padroni del proprio destino”.
Un appello legato a un ricco programma di iniziative che mette insieme conoscenza delle bellezze naturali e impegno culturale. Un invito a riscoprire i ‘cerchi di pietra’, strutture megalitiche uniche in tutto il Mediterraneo, i dammusi tipici dell’isola, il santuario della Madonna di Porto Salvo, luogo di devozione per marinai, naufraghi e viaggiatori, sia cristiani sia musulmani.
E ancora, la visita dell’Archivio storico che conserva documenti sulla storia delle Pelagie e della mostra ‘Con gli oggetti dei migranti’ ospitata nel Porto M, spettacoli teatrali e performance di artisti locali, eventi gastronomici, mercatini di artigianato locale. Invitanti le offerte di strutture recettive, che permetteranno, in “bassa stagione”, di stare a contatto più stretto con gli isolani e con la loro vivacità culturale.
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