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Sblocca Italia e inceneritori, il paese “svolta” … all’indietro

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Mancava solo un tassello per completare l’Unità d’Italia e il decreto Svitol-Italia del governo Renzi lo ha aggiunto: dopo la sua approvazione la monnezza potrà circolare liberamente in tutto il territorio nazionale.
Per rilanciare alla grande la strategia degli inceneritori, pudicamente ridefiniti ‘impianti di termotrattamento’, l’art. 35 dichiara questi impianti “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente”, equiparandoli di fatto a territori militarizzati, e dispone che “negli stessi deve essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e a saturazione del carico termico”.
Il che vuol dire che, per farli funzionare al massimo della loro potenzialità, questi impianti saranno autorizzati/obbligati a ricevere spazzatura da tutto il paese: un regalo ai gestori di questi impianti ma anche un altro duro colpo alla possibilità degli enti locali, Regioni e Comuni in primis, di controllare e decidere sul proprio territorio e un ulteriore passo verso il ritorno al centralismo decisionale.
Vedremo le strade di Lombardia, Emilia Romagna e Toscana invase da camion compattatori provenienti da Mazara del Vallo? Una prospettiva da incubo.
Per completare il quadro, lo stesso decreto prevede anche la possibilità di costruire nuovi inceneritori “individuati [dal Governo] con finalità di progressivo riequilibrio socio economico fra le aree del territorio nazionale”, e per le relative pratiche e procedure impone, secondo il nuovo stile renziano, tempi e ritmi da levrieri.
Ora, se restiamo all’interno della logica degli inceneritori, è bene che ce ne siano pochi per assicurare la possibilità di una corretta gestione e di un adeguato controllo, essendo appunto la gestione di questi impianti molto complessa e difficile. Ed è conveniente, per chi li gestisce, farli funzionare al massimo delle loro potenzialità.
Costituisce un pericolo invece, oltre che una diseconomicità, il loro moltiplicarsi nel territorio come tristemente constatiamo di continuo con i ben più semplici depuratori: la conduzione dei piccoli impianti disseminati sul territorio è spesso abbandonata in mano a personale incompetente e non vi è alcun reale ed effettivo controllo da parte degli enti preposti.
Bisogna inoltre  considerare che il loro utilizzo comporta costi notevoli che sommano alla tariffa per il conferimento (100/150 euro per tonnellata) quello del trasporto, tanto che, in alcuni casi, è più conveniente addirittura spedirli all’estero, come fa Napoli che smaltisce all’estero a un costo di 95 euro a tonnellata, più il costo del trasporto marittimo. Sul mercato sono presenti persino delle imprese scandinave che praticano sconti sempre più aggressivi per far girare i loro impianti.
Il fatto è che gli impianti attualmente esistenti sono già una cinquantina – ma solo una decina, a detta degli esperti, sarebbe in grado di sopravvivere ad un processo di razionalizzazione – e, se è vero che “deprimono il fabbisogno di discariche”, la convenienza economica del loro funzionamento va in rotta di collisione con l’intenzione, pur dichiarata, di aumentare la raccolta differenziata, il riciclo dei materiali e il compostaggio, con buona pace “ della tutela della salute e dell’ambiente”.
E’ quanto sta accadendo, ad esempio, al Comune di Parma dove la Giunta Pizzarotti, che non è riuscita a fermare la messa in funzione dell’impianto autorizzato dalle precedenti amministrazioni, lo ha reso antieconomico aumentando la raccolta differenziata che in pochi mesi è stata portata al 70% e conta di arrivare in breve anche all’80.
D’altra parte se l’obiettivo ultimo indicato dall’Europa è la progressiva riduzione della produzione di rifiuti, nel breve periodo viene raccomandato di dare la precedenza alla raccolta differenziata, che dovrebbe salire almeno al 65%, piuttosto che agli inceneritori, che sono considerati solo come un male necessario e quindi come un capitolo destinato a chiudersi appena possibile.
In questa prospettiva appare dunque miope, incapace di guardare al futuro e in controtendenza la scelta di ridare fiato agli inceneritori e soprattutto quella di costruirne di nuovi, tenendo anche conto dei tempi lunghissimi che queste opere comportano.
E in Sicilia cosa potrebbe accadere? Siamo l’unica regione in cui non esistono inceneritori, ma, attenzione, più per insipienza e malgoverno che per scelta ecologista.
I quattro impianti previsti ai tempi dell’aureo governo Cuffaro sono rimasti impigliati nelle ragnatele giudiziarie, ma se dovesse passare la logica renziana, la Sicilia potrebbe essere scippata anche di questo diritto di non decidere perché sarebbe il governo nazionale ad avocare a sé ogni scelta in merito.
Non sarebbe più logico, in alternativa, che il Governo, anziché semplificare le procedure per realizzare gli inceneritori, semplificasse quelle per la realizzazione di impianti di riciclaggio, cioè le cartiere, le aziende per il recupero della plastica, i piccoli impianti di compostaggio e quelli che gestiscono i rifiuti di apparecchiature elettroniche?
E’ quanto propone da tempo Danilo Pulvirenti, presidente dell’Associazione Rifiuti Zero Sicilia..

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