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Fortuiti incontri, un giovane regista iraniano e la Sicilia


Irrompe la Sicilia in una piazza iraniana, quella di Esfahan. Si chiama Naqsh-e jahàn, “Piazza metà del mondo”, è patrimonio Unesco e – a conferma del suo nome – è davvero una delle più belle della Terra.
Irrompe perché un gruppo di turisti siciliani incontra per caso, davanti alla grande moschea, un gruppo di giovani. Tra loro uno in particolare attacca bottone. E’ piccolo, bruno come un siciliano, ma si chiama Mohammadreza Iloon ed è iraniano.
“Welcome in Iran. Da dove venite?” Dalla Sicilia che sta in Italia, proprio giù giù, oltre la punta dello stivale. Parla in italiano fluentemente Mohammad che studia a Roma , alla Sapienza. Un accento perfetto senza le inflessioni dialettali delle nostre regioni.
“Ah la Sicilia! Ci sono stato e ho vinto anche un premio”. Ma no! Come è piccolo il mondo. Incontrarsi a Esfahan e parlare di Sicilia, del corto tendenza festival di Barcellona Pozzo di Gotto, la cui seconda edizione si è tenuta qualche mese fa. Davvero impensabile!
Mohammadreza è nato a Firoozabad, nella regione del Fars, ha 28 anni. Ha studiato Spettacolo presso l’Università Soore di Teheran ed ora è iscritto al dipartimento di Arti e scienze dello spettacolo dell’Università La Sapienza di Roma.
Ha realizzato alcuni cortometraggi tra cui “La gabbia”, “Mondo grigio” e in particolare “L’Elfo (Aal)”, quello per il quale ha vinto la menzione speciale della giuria di Barcellona.
Il film è ambientato in una tribù quasquai, una tribù persiana di origine turca, la stessa alla quale appartiene il giovane regista. E’ una storia di amore e morte, di destini amari e ricorrenti,  leggenda e mito antichi e crudeli ma ancora vivi.
Perché una storia così cupa, a tinte fosche?
“Perchè i protagonisti della storia sono i nomadi della tribù qashqai. Loro vivono nel deserto, affrontano quotidianamente tante difficoltà e asprezze, hanno tanti dolori che ho trovato giusto trasporre anche a livello narrativo e visivo. E’ per questo motivo che ho scelto di rifarmi ad un’estetica espressionista”.

Quei pupazzi sono burattini iraniani? O sono stati creati proprio per il tuo corto?
“I burattini sono stati realizzati appositamente per il film, non rispecchiano un modello esistente. Nonostante questo, per me è stato importante vestirli con gli abiti tradizionali in modo che fossero verosimili e reali, per quanto anche attraverso le loro forme e i loro colori ho messo in atto un’estetica espressionista”.
Beh, non ci resta che augurarvi buona visione, almeno del trailer. La partecipazione a nuovi concorsi e festival vieta, infatti, la riproduzione per intero del corto, pena l’esclusione da future competizioni.

Argo

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