I figli sono figli, adottivi o biologici

Veniamo subito dopo gli U.S.A  quanto a numero di bambini adottati. Nel 2013 i piccoli che sono entrati a far parte di una famiglia italiana sono stati quasi 3000, provenienti da 56 Paesi. Ma non tutto è perfetto in una realtà quale è quella delle adozioni in Italia, nonostante altri paesi ci prendano a modello.
Di “garanzia dell’etica nell’adozione internazionale” si è parlato la settimana scorsa a Catania in un seminario organizzato dalla sezione locale dell’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e la Famiglia  (AIMMF), ripercorrendo tutte le fasi del processo adottivo – dalla disponibilità di una coppia ad adottare al decreto definitivo del Tribunale per i minorenni – attraverso un confronto costruttivo tra magistrati, operatori pubblici e privati.

Silvia della Monica

“La nostra legislazione sul tema delle adozioni internazionali è oggetto di attenzione anche da parte degli USA che si sono rivolti a noi per migliorare i loro standard”. Così la magistrata Silvia Della Monica, presidente della C.A.I. (Commissione per le Adozioni Internazionali), ente pubblico che garantisce per le adozioni di bambini stranieri il rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione de L’Aja del 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, promuovendo anche accordi bilaterali con gli altri Stati e svolgendo funzioni di controllo sugli Enti autorizzati per le adozioni internazionali.
Silvia Della Monica ha elogiato la decisione della decisione della Corte di Cassazione che vieta l’adozione sulla base di  caratteristiche quali il colore della pelle.
Ha augurato che non venga più usato il termine “adottivo” per i figli non biologici, ma che tutti siano chiamati bambini italiani, per assicurare loro la serenità di cui ogni bambino ha bisogno: “il termine adottivo a volte ha un connotato discriminante, anche quando si è diventati grandi di età”.
Oltre a sottolineare il diritto a conoscere le proprie origini, ma senza azioni spasmodiche, ha auspicato interventi di altre professionalità nel percorso adottivo e post, perché la coppia ha necessità di essere supportata per affrontare situazioni critiche ed evitare fallimenti.

Maria Francesca Pricoco

Ha, inoltre, condiviso le preoccupazioni della presidente del Tribunale per i minorenni, Maria Francesca Pricoco, in merito alla proposta di riforma della giustizia che attribuirebbe non più ai giudici del Tribunale per i minorenni  le competenze civili relative ai minori e alle famiglie, bensì a sezioni che di “specializzate” non hanno nulla.
Su questo Argo ha già scritto (Giustizia minorile, il rischio di una riforma che peggiori le cose)  facendo anche riferimento alla proposta dell’AIMMF.
Rosa Rosnati, professore associato di psicologia sociale alla Cattolica di Milano, ha sviluppato il quesito “i bambini adottati sono maggiormente a rischio?” e lo ha fatto esponendo i risultati di ricerche svolte anche all’estero.
I risultati delle ricerche sui bambini che vivono negli Istituti hanno dimostrato –

Rosa Rosnati

afferma Rosa Rosnati – che “ogni anno passato in Istituto comporta un ritardo nello sviluppo di circa tre mesi”.
Quando si procede ad un confronto con i dati relativi ai bambini non adottati, le differenze sono tuttavia lievi e si attenuano per la grande capacità di recupero, sebbene permangano criticità ed elementi di rischio: “la maggior parte dei ragazzi adottati sono ben inseriti; una minoranza presenta difficoltà; il 73,8% non manifesta alcun problema comportamentale e passando dall’età adolescenziale a quella adulta i problemi diminuiscono”.
Quanto al problema della identità, la studiosa ha sottolineato l’esistenza di una situazione paradossale in quanto i ragazzi non possono rispecchiarsi nei genitori adottivi, perché i tratti somatici rimandano ad un “altrove” e il contesto sociale li fa sentire diversi. Vi è un processo di avvicinamento, esplorazione e negazione, perché costruirsi una identità etnica richiama la propria storia e quindi richiama l’abbandono. Come si può dare importanza ad un corpo che richiama l’abbandono? L’autostima ne viene pregiudicata.
I fattori di rischio di fallimento delle adozioni, relativamente al bambino, ai genitori, agli operatori, sono stati così individuati:

  • per il bambino: prolungata trascuratezza, esperienze di abuso, numero di collocamenti, precedenti fallimenti adottivi, comportamenti oppositivi e sfidanti, passaggio alla famiglia troppo brusco, scarsa preparazione all’adozione;
  • per i genitori: idealizzazione, aspettative elevate e rigide, sentirsi i salvatori del bambino, scelta poco condivisa fra i coniugi, forzature nella disponibilità;
  • per gli operatori: valutazione di idoneità lacunosa, scarsa preparazione all’adozione, scarso supporto durante l’abbinamento, mancanza di accompagnamento post-adozione.

La relatrice ha concluso evidenziando i fattori protettivi che possono influire positivamente in un’adozione internazionale:

  • valorizzare il Paese di origine e la sua cultura per favorire una identità etnica;
  • sfruttare il viaggio all’estero come opportunità per immergersi nella cultura ‘altra’;
  • conoscere almeno in parte la lingua per costruire un vero dia-logo;
  • mantenere il nome originario.

Gli interventi degli operatori dei Comuni, delle Aziende sanitarie, degli Enti autorizzati per le adozioni internazionali e di alcuni tutori hanno permesso di affrontare nodi critici che si presentano per la varietà e complessità delle situazioni:

  • il caso di parziale fallimento di un’adozione di tre bambini polacchi (esposto dal tutore Marina Gennaro), con espulsione di uno dei bambini e impedimento a vedere i fratellini; argomento ripreso anche da Maria Francesca Pricoco che ha evidenziato le difficoltà di difesa degli interessi di questi minori abbinati all’estero che sono stati rifiutati solo dopo essere entrati in Italia;
  • la non corrispondenza tra costi ufficiali e costi effettivi di una procedura di adozione per via di donazioni che – ha affermato il giudice Emma Seminara – la coppia “deve/è invitata a dare agli istituti”;
  • la parziale informazione sullo stato di salute del bambino che le coppie ricevono dalle associazioni che si occupano dell’abbinamento, che porta alcune di queste a “restituire il bambino”;
  • la difficoltà delle coppie a riconoscere i segni di disagio e chiedere aiuto ai servizi e agli enti;
  • la necessità di controllare con maggiore attenzione – evidenziato dalla presidente della CAI – i rapporti poco chiari tra alcune associazioni e orfanotrofi di Paesi che non hanno aderito alla Convenzione dell’Aja per non essere complici di una vera e propria attività di vendita del bambino;
  • la scarsa etica di una parte (minoritaria) dell’informazione che evidenzia nei casi di cronaca lo stato di figlio adottivo, quasi a elemento di spiegazione di comportamenti devianti.

Gli argomenti trattati in questo seminario sono stati un esempio di buona integrazione tra il mondo della ricerca e il mondo giuridico. Il seminario si è concluso con un auspicio della presidente della CAI Silvia Della Monica: “Non vorrei che mentre gli altri Paesi copiano la nostra normativa noi peggioriamo la nostra situazione, ritornando a quando le coppie non avevano l’obbligo di dare mandato ad una associazione riconosciuta ma si rivolgevano a privati, senza alcun controllo. Non vorrei che entrasse in questo ambito la criminalità organizzata” (vedi proposta di legge Caruso).

Argo

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  • avverto il desiderio di ascoltare e leggere interventi e pensieri della gente comune, di comuni cittadini. I magistrati , i pubblici funzionari sono la copertura burocratica di leggi che sovente contribuiscono a staccare la società civile dallo Stato. La magistratura se non ascolta e se non capisce non può nè sa interpretare e applicare le leggi. Ho una pessima esperienzxa in materia e credo che proprio nel settore della giustizia minorile si avverte la necessità di far partecipare la gente " comune". Bando agli specialismi .Sono solo retaggio del potere.

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