Orizzonti terrestri e marini punteggiati da una valanga di tralicci e pompe di estrazione come mai era accaduto. E’ quello che ci aspetta se andrà in porto quanto disposto dal cap. IX del cosiddetto ‘decreto sblocca Italia’.
Sono infatti quaranta i progetti di trivellazione per l’estrazione di petrolio e gas con risorse già individuate; altri 72 in corso di valutazione.
Contrabbandate come risolutive del problema energetico e fonti di risparmio, le trivellazioni sono un enorme inganno.
Alcuni numeri. Oggi importiamo idrocarburi per 60 miliardi, il 90% della spesa energetica italiana. Raddoppiando l’estrazione, spenderemmo 54 miliardi, solo 6 miliardi in meno, un risparmio di appena il 10%. Accompagnato però dalla mirabolante promessa di 25 mila nuovi posti di lavoro (talora Renzi si è generosamente spinto fino a 40 mila!).
Sulle quantità di petrolio stimate sotto i nostri mari, ricordiamo che si tratta di appena 10 milioni di tonnellate. Con i consumi attuali, si esaurirebbero in soli due mesi, in meno di 17 mesi se consideriamo anche quelle presenti nel sottosuolo.
Le bugie
Non è affatto vero che il petrolio estratto sia di proprietà dell’Italia e vada ad alleggerire (poco o molto non importa) il fabbisogno energetico nazionale. Il petrolio è delle compagnie che lo estraggono e lo esportano dove meglio ad esse conviene. All’Italia restano solo le royalties, almeno quelle poche che verranno effettivamente pagate dalle compagnie sulle quantità estratte che superano la franchigia e che non bastano nemmeno lontanamente a compensare i danni che vengono arrecati ad altre attività produttive come pesca e turismo.
E’ solo un’illusione che l’Italia estragga il suo petrolio. In realtà si autorizza chiunque a portarselo, devastando coste, bacini di pesca, terreni e falde acquifere, senza pagare quasi nulla, senza rispondere della devastazione e dei rischi causati.
Quanto ai posti di lavoro, asta ricordare che, negli oltre 20 anni di estrazione petrolifera, in Basilicata il tasso di disoccupazione è aumentato e non si riesce a frenare la piaga dell’emigrazione.
In Sicilia le royalties non le ha pagate praticamente nessuno: grazie alla franchigia: basta moltiplicare le concessioni “piccole” e il gioco è fatto.
Inoltre, siamo forse l’unica nazione al mondo che ha dato alle compagnie petrolifere per le ricerche e le prospezioni geofisiche agevolazioni finanziarie fino al 40 % della spesa.
La crisi energetica resta la stessa, ci terremo solo i danni ambientali e tutte le problematiche ed i rischi dato che manca una regolamentazione efficace delle procedure di estrazione e dei controlli da effettuare.
Non risulta inoltre che sia stato elaborato un sistema di intervento in caso di grandi emergenze, mentre spesso i rischi di incidenti sono coperti da società di comodo con capitale versato irrisorio.
Enti Locali espropriati
Molte Regioni del Sud –Basilicata, Abruzzo e Sicilia in particolare- avranno, che piaccia o no, un ruolo da protagoniste passive dato che lo stesso Decreto considera le estrazioni di “pubblica utilità, urgenti e indifferibili”.
Le autorizzazioni, compresa la valutazione d’impatto ambientale, saranno rilasciate d’ora in avanti dallo Stato, e non più dalle Regioni, sotto forma di “titolo concessorio unico”, valido sia per la ricerca (che potrà durare fino a 12 anni) sia per la coltivazione dei pozzi (per una durata minima di 30 anni ma senza che sia possibile stabilire il tempo massimo di coltivazione).
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Anche per le attività di ricerca in mare sarà il Ministero dell’ambiente ad autorizzare, per un periodo non superiore a cinque anni, progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti.
E per i Comuni le cose non vanno meglio, dato che qualora le opere di ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale comportino la variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell’autorizzazione ha effetto automatico di variante urbanistica.
Resta la spada di Damocle di un eventuale pronunciamento della Corte costituzionale su ricorso di qualche Regione, dato che il disposto tocca il Titolo V della Costituzione, se non sarà nel frattempo modificato.
C’è poi la parte del decreto che attribuisce alla Regione il 30% delle maggiori entrate derivanti dalle attività estrattive, (per la serie “io ti arreco danni irreversibili all’ambiente, però ti pago e quindi stai zitto”) e riconosce l’esclusione delle royalties dal patto di stabilità, ma solo per quattro anni e solo sulle nuove estrazioni.
La Regione Siciliana si professa interessata a una intensificazione delle ricerche sia off-shore nel Canale di Sicilia che in terraferma, soprattutto nei territori della provincia di Ragusa, con buona pace dei beni iscritti nella lista dell’Unesco.
L’ormai ex assessore regionale al Territorio e ambiente, Mariarita Sgarlata, ad onta del suo passato ambientalista se l’è presa con i ritardi della burocrazia e, fra un tuffo e l’altro nella sua piscina, si è rifugiata dietro una generica rivendicazione di una maggiore e più “severa attività di controllo per prevenire interferenze sugli ecosistemi e impatti negativi sull’ambiente.”
Renzi sostiene ancora che se non si tira su il “sacco di petrolio” che abbiamo, è colpa dei “comitati di turno” come se queste persone si mettessero a far la guerra a compagnie petrolifere con codazzo di lobbisti e politici corrotti perché non hanno niente di meglio da fare e non per difendere il proprio territorio.
Alternative?
Se l’estrazione viene fatta da paesi limitrofi in acque territoriali vicinissime alle nostre, avremo comunque inquinamento e ci verrà sottratto parzialmente il petrolio dei giacimenti in aree di confine. Dovrebbe essere il nostro Stato, e non le compagnie, ad estrarlo concordando con gli altri Stati norme di protezione dell’ambiente.
Un esempio è quello della Norvegia: lo Stato è sempre azionista delle compagnie che estraggono il petrolio, ma di inquinamenti ed eventuali disastri resta unico responsabile il privato e viene imposto un prelievo fiscale complessivo del 78% , senza royalties.
Ma è ipotizzabile un’alternativa di politica energetica che non abbia una visione prospettica così miope e di corto respiro?
Il modello è sotto gli occhi di tutti e non si tratta di un piccola isola in cerca di autosufficienza. Si tratta della Germania, dove notoriamente il sole non scende a catinelle e che nel 2012-2013 contava la bellezza di 370 mila persone occupate nel settore delle rinnovabili.
Allora, se veramente Renzi volesse cambiare l’Italia, come continua ad affermare, dovrebbe avere il coraggio di voltare le spalle ai magnati del petrolio e tagliare decisamente anche la dipendenza dalle forniture estere, avviando una seria e sistematica politica di conversione energetica in un paese che possiede infinite potenzialità in termini di energia rinnovabile.
Questo vorrebbe dire, veramente e fuori da ogni retorica, “cambiare verso”.
Mi vorrei lanciare in commenti, ma verità è che l’unico commento che mi viene di fare è una citazione che trovai in un libro di storia delle scuole medie: “Lo sdegno non mi permette di tacere, il dolore non mi concede di parlare” di Enea Silvio Piccolomini
#sbloccaminghia quando andremo nelle sedi mondiali a discutere di cambiamenti climatici e di come difenderci invece di cura del territorio fonti rinnovabili pulizia dei corsi d’acqua risparmio di energia sostenibilità ecc parleremo di cemento per corrotti e corruttori e di estrazione di gas e petrolio a beneficio delle multinazionali che come è noto sono delle entità astratte a cui non frega niente dei cambiamenti climatici. Fatti una multinazionale tutta tua e poi pam pam pam.