Inquinamento a Priolo, ripensare lo sviluppo

Morire di sviluppo“, l’inchiesta di Antonio Condorelli con le immagini di Beppe Mammino, finalista al Premio Ilaria Alpi, ha il merito di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica il gravissimo problema dell’inquinamento della zona industriale di Augusta-Priolo.
Racconta in modo efficace alcuni episodi del modo dissennato con cui è stato affrontato questo problema e sottolinea soprattutto il salatissimo prezzo che sta pagando, in termini di vite umane, la popolazione del circondario. Si conclude richiamando le parole magiche: risanamento, bonifica.
Si tratta di una prospettiva praticabile o si rischia di spendere grandi quantità di risorse pubbliche per averne in cambio risultati decisamente al di sotto anche delle più realistiche aspettative?
Per rispondere a questi interrogativi cercheremo di allargare il raggio dell’indagine tentando di costruire un quadro informativo che dia, quanto meno, il senso della complessità della questione.

La collocazione degli insediamenti industriali

Si tratta di insediamenti industriali che, per la loro natura, dovrebbero essere collocati lontani dai centri abitati e invece siamo di fronte ad una eccezionale concentrazione, in un territorio relativamente ristretto, di grandi impianti petrolchimici e chimici, cementifici ed una enorme centrale elettrica, letteralmente circondata a brevissima distanza da una cintura di paesi e città: Augusta, Villasmundo, Lentini, Melilli, Priolo e Siracusa.
Ciò significa che anche adottando  le Migliori Tecniche Esistenti – MTE-  si possono diminuire le concentrazioni degli inquinanti immessi nell’ambiente, ma le quantità resteranno enormemente superiori alle capacità di assorbimento e rigenerazione del territorio (falda, terra, aria, mare). L’inquinamento e la devastazione dell’ambiente e dei suoi effetti sugli abitanti è destinata  quindi ad accumularsi e crescere.

Inquinamento dell’aria

L’inquinamento dell’aria quindi non può che essere un dato scontato, considerato che quotidianamente sono migliaia le tonnellate di anidride solforosa, di fumi, polveri sottili, sotto PM10 costituiti per lo più da ossidi di metalli pesanti, gas di combustione prodotte dalle “torce” e vapori di ogni natura emessi durante il funzionamento  “normale” da tutte le apparecchiature, dagli immensi serbatoi, dalle vasche e dai tombini delle reti fognarie che si estendono per kilometri all’interno degli impianti; senza considerare i rilasci eccezionali che avvengono in caso di emergenze o di bonifiche di impianti per manutenzione.

Inquinamento e abbassamento della falda acquifera

Stesso discorso vale per l’inquinamento della falda acquifera. La rete fognaria degli impianti infatti non viene quasi mai manutenzionata e quindi, da corrosioni e lesioni che vi si formano nel corso degli anni, molti dei liquidi che vi vengono scaricati, idrocarburi e sostanze chimiche d’ogni genere, finiscono nel terreno e quindi in falda e quindi in mare.
Sono sostanze velenose già per concentrazioni di pochi milligrammi per metro cubo, immaginiamo cosa è accaduto lasciandole infiltrare a tonnellate nel terreno ed in modo continuo per anni.
Il mercurio presente nell’acqua, in particolare, decuplica la sua concentrazione ad ogni passaggio nella scala biologica, passando dal mare alle alghe, ai batteri, ai protozoi, al plancton di cui si nutrono i pesci, per arrivare all’uomo soprattutto attraverso il consumo di pesci di grossa taglia.
Un impianto petrochimico è anche un mostruoso divoratore di acqua per la generazione di vapore che serve per il processo di fabbricazione e per  il raffreddamento degli impianti. Da numerosi pozzi, per anni è stato normale aspirare portate di 5-700 mc/ora ed i pozzi venivano perforati anche a diversi km di distanza dagli impianti.
Come risultato la falda, prima affiorante, si è progressivamente abbassata, fino a 250 m sotto il piano di campagna ed è arrivata a scendere fino a circa 50 m sotto il livello del mare, con il risultato che in molti pozzi l’acqua è diventata salata e non utilizzabile negli impianti.
In risposta a questo problema è stato quindi necessario, per i nuovi impianti, impiegare leghe speciali, come sulle navi, per poter utilizzare l’acqua marina per il raffreddamento, mentre per gli impianti esistenti sono stati costruiti due grossi acquedotti, lunghi decine di chilometri per convogliare negli impianti le acque del Ciane e del Simeto.
E qui, oltre al danno c’è anche la beffa, perché gli acquedotti sono stati costruiti dalla Regione a spese nostre, giustificati soprattutto dalla necessità di irrigazione delle campagne, che nel frattempo erano state rese aride dall’abbassamento della falda e sterili dalle migliaia di tonnellate di  anidride solforosa immesse nell’atmosfera. Ufficialmente però solo il surplus di acqua non utilizzato dall’agricoltura andava agli impianti.

La rada di Augusta

La rada di Augusta è lo sbocco naturale di tutto l’inquinamento che si produce a terra. Anche in questo caso, a maggior ragione, il concetto di inquinamento rappresenta solo in modo sommario lo stato dei fatti.
I meno giovani fra noi si ricorderanno, ad esempio, che tornando dalla Plaja non era difficile accorgersi che i costumi si erano incomprensibilmente macchiati di catrame. Era in effetti il segno dello scarico in mare delle cosiddette ‘acque di zavorra’ con cui venivano riempiti i serbatoi delle petroliere che non potevano viaggiare a vuoto.
Solo negli anni Settanta si cominciarono a costruire sulla costa dei serbatoi nei quali quest’acqua veniva scaricata per essere poi trasferita sulla nave successiva, ma nel frattempo tutto il bitume scaricato si è sedimentato in fondo al mare e giace ancora lì.

Il depuratore consortile

Vennero poi anche le leggi, che tentavano di mettere ordine e disciplinare in qualche modo tutta questa faccenda, individuando limiti di emissioni e scarichi, obblighi e responsabilità civili e penali connesse.
Famosa è la legge Merli del 1976 che dettava norme a tutela delle acque: non è casuale che sia stata via via depotenziata e resa inefficace, fino ad essere abrogata.
Tuttavia, le emissioni, pur ridotte, non sono annullate, e le grandissime dimensioni di questi impianti fanno sì che queste emissioni, piccole se considerate relativamente, siano comunque quantitativamente importanti in termini assoluti.
Per intercettare a monte della rada il problema degli scarichi a mare prese infine forma l’idea di costruire un unico grande depuratore consortile che fosse a servizio sia dell’area industriale che dei comuni che la contornano.
Bastò quest’ultima precisazione perché fosse messo finanziariamente a carico della Regione, senza tener conto che, se già è molto difficile gestire correttamente un depuratore in cui arrivano gli scarichi estremamente diversificati di tante industrie petrolchimiche, il farvi confluire anche gli scarichi degli insediamenti civili lo rende di fatto ingovernabile e ne riduce enormemente la funzionalità.
Il risultato è che il contribuente ha pagato, senza averne causa, un’opera faraonica e continua a pagarne una gestione e una manutenzione costosissime, senza per questo avere la certezza che nella rada non si scarichino più veleni.
Negli anni 70 è stata costruita una rete di rilevamento consortile per il controllo del tasso inquinamento dell’aria, che però è “gestita” dalle stesse industrie che dovrebbe controllare, con le conseguenze che tutti possono immaginare.

Controlli sanitari carenti

Per decenni sulla popolazione del territorio non sono state fatte rilevazioni o stilate statistiche sanitarie sulle incidenza delle diverse malattie da inquinamento (tumori, malattie renali, cardiovascolari, sordità) ed anche i controlli degli Istituti preposti (INAIL, INPS) hanno sempre riguardato prevalentemente i dipendenti delle grosse aziende, trascurando quelli, e sono in gran numero, delle aziende appaltatrici.

Le soluzioni possibili

A fronte di questo quadro, non c’è da farsi illusioni: l’unico rimedio ambientale serio e radicale dovrebbe essere la delocalizzazione degli impianti, senza che ciò tuttavia possa comportare, nel breve e nel medio periodo, un riequilibrio dell’ecosistema.
Ci sarà mai una classe politica che si vorrà assumere una tale responsabilità, considerate le altrettanto gravi ricadute economiche e sociali?
Ma se le aziende restano in loco è possibile solo mitigare la portata dell’inquinamento, migliorando le norme, ripristinando la responsabilità personale dei dirigenti delle aziende e degli uffici pubblici, effettuando i controlli, ed applicando le sanzioni, senza eludere le prescrizioni della Comunità europea.
Se questo è il quadro di tutti gli elementi di cui bisogna tener conto, per completarlo occorre anche conoscere se e quali indagini istituzionali sono state condotte nel passato e a quali esiti sono approdate, così come occorrerebbe approfondire quali sono gli interventi di bonifica possibili e a quali costi.
Su questi due aspetti rinviamo ad un nostro ulteriore intervento di prossima pubblicazione.
Guarda il filmato di Antonio Condorelli

Argo

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  • mancano i commenti.Perchè? C'è tanta paura in giro. Si teme di svelare segreti che non hanno ragione di esistere. Perhè e chi ha rovinato un territorio così vasto al punto da danneggiare la salute dei residenti?E perchè non intervengono le autorità? Perchè non si aprono le patrie galere per quanti hanno consentito simile scempio? A questo punto il vero scandalo è il silenzio delle autorità. Sono loro i veri ladri della salute altrui.Bisogna denunciare a tappeto i responsabili e renderli innocui.Diversamente non ci sarà esimente nè scusa. Tutti saremo responsabili .

  • e dove lo mettiamo lo scandalo della distruzione del territorio di Catania? Se si legge compiutamente la sentenza di condanna di Lombardo si capiscono tante cose. E si comprende anche il silenzio criminale di quanti sono tenuti ad intervenire per fare cessare lo scempio. E' il caso dell'Istberillo o del PUA. Cosa si aspetta ad intervenire per bloccare tutte le iniziative delinquenziali che sono in itinere?

  • Bellissimo video e stupendo articolo, bravi veramente. In Sicilia stranamente i giornali non pestano i piedi ai petrolchimici.
    Ancora bravi

  • Pochi parlano di Augusta e dell'alto tasso dei tumori, malformita' e avvelenamento dell'aria e del suolo perche' le persone hanno paura di perdere il lavoro quindi continuano ad ammalarsi.
    Le malattie e il veleno che respirano e bevono e' un costo fatturato nella paga mensile. La vita della classe lavoratrice vale poco in Sicilia.

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