Una scelta, quella della location, motivata dall’intento di valorizzare una esperienza di riappropriazione dal basso di un bene pubblico lasciato in stato di abbandono e recuperato dalla volontà caparbia e dall’impegno dei volontari dell’associazione Iqbal Masih sostenuti da altre realtà cittadine impegnate nella difesa dei beni comuni.
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I giovani, di età compresa tra i 16 e i venti anni, hanno partecipato ai lavori di riparazione dell’impianto sportivo San Teodoro e alla coltivazione dell’orto sociale, ma hanno anche realizzato alcune interviste e un laboratorio teatrale condotto con le tecniche e il metodo del ‘teatro dell’oppresso’.
Le testimonianze
Temi centrali delle attività di formazione sono stati quelli della legalità e della lotta alle mafie, con momenti di testimonianza di chi ha vissuto in passato e vive ancora oggi, sulla propria pelle, non solo la violenza della criminalità organizzata ma anche le conseguenze dei faticosi e spesso inadeguati interventi per contrastarla.
Un esercizio di memoria è stato quello di Antonella Azoti, figlia di Nicolò, uno dei primi sindacalisti uccisi dalla mafia nel dopoguerra, una memoria che va difesa ma anche coniugata all’impegno nel presente come ha detto Giuseppe Strazzulla, coordinatore provinciale di Libera.
Particolarmente drammatica la testimonianza dei lavoratori della La.Ra, azienda confiscata alla mafia e oggi a rischio liquidazione, di cui Argo si è già occupato e intende ancora occuparsi. Forse non è stato abbastanza evidente ai ragazzi in ascolto che il racconto delle vicende di questa azienda conteneva un aspetto di denuncia, di amara critica al ruolo svolto dagli enti, in primis l’Agenzia per i beni confiscati, che questi beni dovrebbero custodire.
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Più di 40 persone che ancora lavorano alla La.Ra rischiano il posto di lavoro. Non sono solo intere famiglie che resterebbero sul lastrico (e non è poco!), qui è in ballo la credibilità dello Stato.
L’intuizione geniale di Pio La Torre che bisognasse colpire la mafia nei suoi beni rischia di essere vanificata. La restituzione alla collettività di questi beni rischia di essere solo uno slogan vuoto di significato. Gli amministratori delle aziende confiscate sono condannati di fatto ad essere i loro liquidatori.
Le mafie non hanno perso credibilità, controllano ancora il territorio e ogni sconfitta dello Stato (e la chiusura di una azienda confiscata, che è dello Stato, è una sconfitta) apre la porta alla sfiducia e mina la volontà di collaborare con chi alle mafie si oppone.
Ma la scommessa è proprio questa ed è bene che i giovani che hanno partecipato al campo di Librino siano stati messi davanti non solo ai meriti ma anche alle difficoltà di chi fa vera antimafia.
Importante resta comunque il fatto che, nel corso delle attività di formazione, questi ragazzi abbiano dovuto abbandonare i vecchi stereotipi del loro immaginario, secondo cui, come ci dice Pina Palella della segreteria confederale della Cgil, il mafioso era ancora quello con la coppola e la lupara e non l’uomo di affari che si insinua nei gangli del potere, si accaparra gli appalti, si nasconde dentro le istituzioni.
Avranno colto anche le difficoltà e gli ostacoli con cui bisogna fare i conti per tenere la barra diritta verso la legalità? Perchè, come ha detto Innocenzo Mascali, parlando a nome dei colleghi della La.Ra, come cittadini, “dovremmo preoccuparci più della legalità che dell’antimafia”.
Lo spettacolo conclusivo
Lo spettacolo teatrale messo in scena a conclusione del campo era stato pensato per creare un ponte con la cittadinanza, che però, ancora una volta, era assente.
E’ stato comunque un modo per rappresentare, con delle figure corporee, le esperienze vissute in quei dieci giorni, a partire dalle reazioni delle persone intervistate nei quartieri di San Giorgio, Librino, Fortino, Centro Storico.
“Di queste cose non si parla”
“Siete giovani, perché non ve ne andate al mare?”
“Non sono catanese quindi non mi interessa”
“Se siete attori, allora andatevene a teatro”.
Affermazioni che dimostrano atteggiamenti più radicati di quanto ci piacerebbe ammettere.
I mimi-attori hanno poi riprodotto, sempre con atteggiamenti del corpo, le azioni da intraprendere durante il percorso di lotta alle mafie, sul quale si erano interrogati nel corso del campo. Si sono chiesti se non fosse arrivato il momento di utilizzare la violenza o se l’educazione bastasse a formare le coscienze aiutando a rompere le barriere culturali o quale fosse il ruolo dell’informazione per fare aprire gli occhi, creare modalità di lotta e resistenza, preservare la pace.
Anche il pubblico è stato coinvolto nell’azione scenica. A partire dalle domande “Secondo voi, qual è il modo migliore per fare antimafia sociale? Da dove dobbiamo partire e come dobbiamo procedere?”, i presenti sono stati invitati a sviluppare collettivamente un modello, cambiando l’ordine e la natura delle azioni, sollevando nuove questioni e interrogativi con cui i partecipanti al campo hanno dovuto confrontarsi.
E se, alla fine dei numerosi interventi, non ci si è riusciti a convergere su un modello unico è proprio perché si è convenuto che “questi sono processi che tornano indietro” e diverse sono le strategie d’azione che si possono adottare.
Nulla, nel complesso, in questo campo, che abbia minacciato direttamente la mafia.
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Buona sera, sono un ex-dipendente della LA.RA. SRL, ex perchè grazie alle istituzioni e alle FORZE AVVERSE le commesse in mano alla suddetta ditta sono diminuite in modo drastico, è bello vedere che tutti si occupano dei lavoratori della LA.RA. SRL tranne chi potrebbe cambiare le sorti della ditta e come ovvia conseguenza di tutte le famiglie dei dipendenti. Spero che presto chi di dovere faccia il proprio dovere.