E’ davvero così urgente? Ci aiuterà a risolvere la crisi economica? Migliorerà la velocità dei nostri interventi legislativi? O rappresenta invece un rischio per la democrazia? Se ne dibatte da tempo e da più parti. Per portare il nostro contributo, abbiamo chiesto al costituzionalista Ettore Palazzolo, collaboratore di Argo, un parere sulla riforma del Senato attualmente in discussione.
Certamente la riforma del Senato non rappresenta una delle priorità nell’attuale situazione di crisi economica, e neppure costituisce uno di
quei “compiti a casa” che a Bruxelles (e soprattutto a Berlino) considerano necessari per ottenere concessioni sulla flessibilità dei vincoli di bilancio.
Il superamento del bicameralismo perfetto è stata, tuttavia, una delle riforme costituzionali su cui – senza entrare nel merito delle varie soluzioni – c’è stato un consenso quasi unanime delle forze politiche e dell’opinione pubblica in generale e di cui si parla da più di trent’anni.
Renzi ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia, aggiungendovi la motivazione del risparmio che se ne ricaverebbe, un argomento che, in tempi di crisi della politica e di polemica anti-casta, trova un facile consenso, anche se la cifra indicata, un miliardo di euro, appare francamente eccessiva e verisimile solo in caso di abolizione secca del Senato.
Vorrei preliminarmente spendere qualche parola sull’enfatizzazione delle negatività del bicameralismo perfetto o paritario, considerato sinonimo di lentocrazia (l’enorme rallentamento dei processi decisionali pubblici, tipico dell’Italia) e che costituisce uno degli argomenti alla base di questa riforma.
Non dimentichiamo che vi sono ordinamenti, quale quello degli USA, in cui esiste un bicameralismo quasi perfetto che non può certo essere considerato un esempio di lentocrazia, ma c’è di più.
Quando si vuole sottolineare la durata eccessiva dei procedimenti legislativi in Italia, si trascura che il bicameralismo consente l’esame dei progetti di legge in parallelo (mentre ne viene esaminato uno alla Camera, se ne discute un altro in Senato). Abolendo una delle Camere, i procedimenti dovrebbero svolgersi in serie, uno dopo l’altro nell’ambito della stessa Camera, con un probabile aumento complessivo dei tempi.
Il problema risiede, da un canto, nei regolamenti parlamentari che, opportunamente razionalizzati, potrebbero fare guadagnare rapidità in maniera significativa, e nel livello sub-legislativo.
Moltissime leggi, per poter trovare applicazione, necessitano dei decreti attuativi (circa 750, per ammissione dello stesso Governo, allo stato attuale) e ciò chiama in causa non solo i ministri, ma soprattutto la pubblica amministrazione.
Sta proprio qui il rallentamento complessivo dell’azione dello Stato nel suo complesso. Ed è allora qui che occorre intervenire con un’energica riforma della Pubblica Amminisrazione, che, non da sola, potrebbe incidere positivamente sul piano della crescita economica, andando anche incontro alle richieste provenienti da Bruxelles.
Peraltro, ogni modifica costituzionale va ad inserirsi in un sistema di equilibri assai delicati (il sistema dei pesi e dei contrappesi), come la meccanica di un orologio. Non è possibile pertanto modificare un aspetto dell’assetto costituzionale, senza un opportuno riequilibrio. Tanto meno tali modifiche possono essere affidate a gare di velocità, meno che mai a prove di forza, quali quelle cui stiamo assistendo in questi giorni.
Se si vogliono approvare riforme ben costruite e che possano durare nel tempo, queste devono essere ben meditate, con un dibattito aperto ed un confronto reale fra le diverse posizioni, senza accuse di boicottaggio rivolte a chi, sostenendo tesi magari più conformi allo spirito della Costituzione, si limita a compiere il proprio dovere di parlamentare.
Entrando nel merito complessivo del progetto, avremmo
- una Camera dei deputati percepita, a torto o a ragione, (se venisse approvato il cosiddetto Italicum, meglio dire Renzi-Berlusconi) come composta da nominati dalle segreterie dei partiti
- un Senato, non più elettivo, ma composto da Sindaci, rappresentanti regionali (eletti dagli stessi consiglieri regionali e quindi dai partiti e dai loro dirigenti regionali) e membri nominati dal Presidente della Repubblica (rispetto al progetto originario, ridotti da 21a 5 e nominati non a vita, ma per una durata massima di 7 anni).
Non è un bel risultato per chi si era proposto come un innovatore, un nemico della Casta, anche per il discredito crescente di cui godono i rappresentanti regionali, a seguito degli scandali dei rimborsi elettorali, ma non solo. Per carità di patria non parliamo in questa sede dei parlamentari dell’ARS, di cui è lecito dire, salvo rarissime eccezioni, tutto il male possibile…
Ma aldilà della percezione popolare, che può essere anche fallace, si pongono alcuni problemi davvero seri.
Uno di ordine pratico: quanto tempo i consiglieri regionali, e ancor di più i Sindaci potranno dedicare all’attività parlamentare del Senato, tenendo conto che si tratterà di un’attività non retribuita (a parte l’eventualità di una diaria aggiuntiva e dei rimborsi viaggio)?
E se invece dovessero decidere di privilegiare l’attività parlamentare, non trascurerebbero l’attività amministrativa locale nei Comuni o nei Consigli regionali di appartenenza?
Più grave è la questione di principio. In democrazia ad ogni potere politico deve corrispondere una responsabilità politica. A chi dovrebbero rispondere i nuovi senatori (Sindaci, consiglieri regionali, ecc.) così eletti (o nominati)?
Non certo ai cittadini, i quali li hanno scelti per le capacità amministrative, spesso legate a tematiche squisitamente locali.
E come sanzionare politicamente i nuovi senatori che, nel corso della legislature, a giudizio dei cittadini si siano mostrati inadeguati all’esercizio delle funzioni senatoriali? L’unica sanzione politica è la non rielezione, ma si tratta di parlamentari non elettivi che, nella loro specifica attività amministrativa locale, potrebbero avere operato bene.
Ciò comporta di fatto la loro irresponsabilità ed insindacabilità politica. I cittadini non potrebbero quindi decidere sulla rielezione dei componenti di uno dei rami del Parlamento, che non sarebbe più direttamente rappresentativo.
Se non un’aperta violazione della Costituzione, ciò rappresenta certamente un’anomalia nel sistema costituzionale e comporta un deficit democratico. Andrà a finire che l’unica sanzione esercitabile sarà quella penale, ma ciò, oltre ad essere pericoloso (si rischierebbe un’ulteriore espansione dei poteri della magistratura), introduce ad un’ulteriore problema: la questione delle immunità parlamentari (dagli arresti, dalle perquisizioni e dalle intercettazioni).
Intendiamoci: se il Senato si trasforma in un organo tecnico, ovvero di coordinamento fra lo Stato e le Autonomie regionali e comunali, come già adesso la Conferenza Stato-regioni e Stato-città, il problema potrebbe non porsi e sarebbe del tutto ovvio escludere dalle immunità previste per i parlamentari i componenti di un siffatto organismo.
Se invece, come sembra, le funzioni del Senato, ad eccezione del conferimento della fiducia al Governo ed al voto sul bilancio, dovessero rimanere pressoché identiche a quelle attuali (funzioni legislative, politiche, di controllo ed anche costituzionali), non potrebbe legittimamente giustificarsi un’esclusione delle immunità già previste per i componenti della Camera dei deputati.
D’altra parte, a volere limitare l’immunità alle specifiche funzioni parlamentari, ciò dovrebbe necessariamente valere anche per l’altro ramo del Parlamento, la Camera dei deputati, e quindi la riforma dovrebbe comportare anche una modifica delle immunità della Camera, cosa peraltro non facile.
Qui si pone un altro problema: c’è una stretta connessione fra l’art. 67 e l’art. 68 della Costituzione. Le immunità di cui all’art. 68 sono espressamente previste per i parlamentari, mentre per i consiglieri regionali le immunità sono quelle indicate nell’art. 122 della Costituzione.
I parlamentari vengono eletti per rappresentare la Nazione, senza vincolo di mandato: può valere l’estensione delle immunità di cui all’art. 68 anche ai Sindaci o ai consiglieri regionali, eletti dai cittadini per rappresentare interessi prevalentemente locali o regionali e diventati senatori con elezioni di secondo grado? Ciò è fortemente in dubbio.
Come si vede non è facile trovare delle soluzioni semplici per problemi assai complessi. E chi si illude che in poco tempo si possa fare una riforma del Senato di tale portata, magari ostinandosi testardamente nelle proprie proposte, rischia di comportarsi come un elefante in un negozio di cristalleria. Se poi considera le proposte altrui come un ostacolo alle riforme, o, peggio, un preciso boicottaggio, fa soltanto della demagogia.
Nel caso di leggi costituzionali è condivisibile l’intento di allargare la condivisione del progetto ad altre forze politiche esterne alla maggioranza. Rimane il dubbio, stante la completa opacità del cosiddetto patto del Nazareno, che esso possa avere avuto per oggetto anche altre questioni, tenendo conto della ricerca disperata da parte del leader di Forza Italia di un salvacondotto per le proprie vicende giudiziarie (e non si fa certo una bella figura a voler cambiare la Costituzione con un sospetto del genere).
Non hanno senso due camere elette sostanzialmente con gli stessi criteri
Nei diversi paesi i senati sono nati con composizione, natura e poteri diversi
Necessaria e’ invece la presenza di una camera di compensazione tra stato, regioni ed enti locali. Vedi il ruolo essenziale svolto negli ultimi anni dalla Conferenza Stato Regioni ecc. Se non ci fosse stata enormi problemi sarebbero nati o rimasti irrisolti.
Le altre considerazioni sono conseguentemente secondarie, anche se ciascuna delle obiezioni contiene aspetti importanti:
– lentezza nella elaborazione dei regolamenti e decreti applicativi, anche a causa di leggi necessariamente generiche perché troppo condizionate dai passaggi nelle commissioni e nelle due camere
– nomina dei candidati alle elezioni dell’unica camera da parte delle segreterie dei partiti. Non c’è dubbio che la soluzione migliore sarebbe quella dei collegi uninominali e due turni
– la necessità di un terreno di composizione di ragioni e spinte diverse guida nella soluzione del problema della elezione di secondo grado dei membri del nuovo senato (è proprio fondamentale la forma di questa rappresentanza). Poco significativo il tema dei … troppi compiti e lavoro dei senatori.
– il discredito lo hanno meritato non solo alcuni consiglieri regionali ma anche molti deputati e senatori
– i nuovi senatori sono responsabili innanzitutto nei confronti delle assemblee che li hanno eletti o nominati, quindi in ultima analisi agli elettori. In questo senso non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (art 122).
Si continuano a fare infinite chiacchiere su una istituzione assolutamente inutile e costosissima come il senato.
In pratica ecco l’iter di una legge: la Camera discute e approva una legge, questa quindi passa al Senato per essere ridiscussa e riapprovata; se il Senato ne cambia una sola virgola, la legge ritorna alla Camera per essere discussa e aprovata, e così via in un ping pong che in teoria potrebbe continuare all’infinito.
Personalmente, fino a quando il Senato della repubblica non sarà abolito,
ad ogni elezione restituirò la tessera elettorale, e toverò di cattivo gusto, anzi offensivo, che mi sichieda di andare a votare.
PERCHE’ NON INDITE UNA RACCOLTA DI FIRME SULL’ABOLIZIONE DEL SENATO ?
Bravissimo concittadino B.Cantone, sarai anche tu un perfetto cittadino italiano se non vai a votare ! Infatti alle ultime elezioni ha votato un cittadino su tre con grande goduria dei nuovi eletti ai quali è stato fatto un tale favore. Sono le persone arrabbiate come te che nel tempo hanno reso forte la nostra Italia, ancora bravo!
…….Sarebbe interessante ” chiedere” a Chi ha sacrificato la propria vita per darci ( a tutti…uomini e donne) la possibilità di votare – diritto estirpato violentemente dal fascismo – se trovano di “cattivo gusto” questo Loro immolazione.
per Elio Marotta
I parlamenti monocamerali esistono e possono essere ben funzionanti, il problema è che la nostra carta costituzionale prevede un certo sistema di ‘pesi e contrappesi’ (come si dice nell’articolo) che non può essere modificato alla leggera senza rischiare di alterare delicati equilibri.
Quanto alla “lentezza nella elaborazione dei regolamenti e decreti applicativi”, qualcuno vecchio quanto me ricorda bene come fosse maestra in questo la Democrazia Cristiana. Quando veniva “forzata” a varare una legge finiva col promulgarla e tutti tornavano sereni, ma se ne differiva poi all’infinito il regolamento di attuazione, rendendola di fatto non operante. Ed il metodo avrebbe funzionato lo stesso, anzi meglio, con un sistema monocamerale.
“nomina dei candidati alle elezioni dell’unica camera da parte delle segreterie dei partiti. Non c’è dubbio che la soluzione migliore sarebbe quella dei collegi uninominali e due turni”
ma non è così, il Senato eletto è uno dei punti rifiutati con forza da RenziBerlusconi (e sembra sia uno dei punti dell’accordo del Nazareno).
Infine:
Autorevoli costituzionalisti mostrano come il combinato disposto della riforma così come si vuole imporre e della legge elettorale già approvata alla Camera, con le le clausole di sbarramento, del premio di maggioranza e delle liste bloccate assicura al partito di maggioranza un potere fuori da ogni controllo (col solo 25 % dei voti).
. . . e (aggiungo io) con partiti in cui il potere decisionale è tutto in mano al capo carismatico, trasforma la democrazia in una dittatura di fatto.
vedi
http://www.freenewsonline.it/?p=8715
e anche
http://www.libertaegiustizia.it/2014/07/25/carlassare-cosi-si-strozza-la-democrazia/
Dati i vantaggi e svantaggi elencati nell’articolo, mi sembra che gli italiani sono fregato con o senza senato….