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Cantastorie, cantori critici dell'attualità

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Fortunato Sindoni

Non il custode della tradizione e delle figure mitiche del passato ma il cantore dell’attualità, colui che sa leggere e raccontare in modo critico il presente. Questo è il cantastorie che ci viene presentato da Fortunato Sindoni e Mauro Geraci nel corso di una intervista web realizzata da Valerio Buemi per Libera Diretta, esperimento di comunicazione che utilizza il sistema Hangouts, la diretta su Youtube. In regia l’altro ideatore di Libera Diretta, Salvo Toscano.
Sindoni parla dei cantastorie raccontando innanzi tutto di sé e della sua quarantennale esperienza sul campo. Geraci -che insegna antropologia culturale all’Università di Messina- alterna le riflessioni nate dagli studi all’esperienza che lo ha portato ad entrare in contatto con altri cantastorie e a diventare cantastorie a sua volta.
Un’esperienza artistica a tutto campo quella dei cantastorie che coinvolge pittura, recitazione, musica, canto, messe a disposizione di una riflessione critica sui problemi attuali. Viene citato, nell’intervista, il cantastorie Giuseppe Di Stefano di Avola che affermava che, quando vedeva le abnormi file agli sportelli della posta, veniva a conoscenze di ruberie o sentiva raccontare di processi infiniti che non fanno giustizia, sentiva il bisogno di “farici a canzuna”.
Oggi non basta cantare la “Barunissa di Carini”, dice Sindoni, se non si collega questo episodio del passato alla situazione presente di violenza a cui sono sottoposte le donne, perchè il cantastorie non deve solo narrare, deve “fare riflettere”.
Era così già 70 anni fa, quando Turiddu Bella di Mascali scriveva il suo canto sullo sbarco degli americani, mettendoci dentro le speranze per l’arrivo dei ‘liberatori’ ma anche le preoccupazioni per le ambiguità della politica che avrebbero poi segnato gli anni del dopoguerra.
Mauro Geraci

E Geraci, proprio mentre lo canta in trasmissione, ne sottolinea i riferimenti al presente di allora, ad esempio il sogno dei separatisi ma anche il coinvolgimento della mafia, e le ‘profezie’ su quello che sarebbe avvenuto dopo.
I veri cantastorie, come è stato anche Ignazio Buttitta, che scrisse La “Rotta di Roncisvalle” per Vito Santangelo, hanno uno sguardo critico anche sui miti del passato.
Di Orlando paladino della fede, che ha un capello della Madonna incastonato nella propria spada e una croce disegnata sul petto dell’armatura, si mette in evidenza la contraddizione tra il suo essere seguace di Cristo e uomo d’armi. E il poeta si chieda negli ultimi versi “cu sapi se u Signuri ci rapi li porti di lu Paradisu”, sottintendendo che anche il ‘difensore della fede’ ha bisogno del perdono per il male che ha commesso.
Sindoni, invitato ad esibirsi anche lui durante l’intevista, sceglie di cantare uno dei suoi pezzi antimafia, quello dedicato a Pippo Fava dopo la sua morte. In questo pezzo viene raccontata, in modo poetico ma ben riconoscibile, la realtà di interessi mafiosi, violenza e malaffare che stava dietro la potenza economica dei cavalieri mentre i politici “tenevano per loro la candela”. Fava aveva avuto il coraggio di parlarne in un momento in cui tutti tacevano.
L’intevista ai due cantastorie è realizzata in collaborazione con la Casa Museo Cantastorie di Paternò, nata un paio di anni fa e con la quale solo di recente Sindoni e Geraci sono entrati in contatto. “Si possono museizzare i dischi o i tabelloni, non i cantastorie, perchè questo vuol dire considerarli morti, alla stregua di reperti archeologici”, dice Geraci. “Già parlare di ‘Casa‘ è diverso, perchè la casa è un luogo di vita, in cui la figura del cantastorie può trovare un’occasione di promozione e di sviluppo delle proprie potenzialità, sempre guardando avanti e non indietro”.
In chiusura i due artisti dimostrano, con due brevi ballate, la propria capacità di raccontare i problemi del presente. Geraci canta il naufragio della Costa Concordia, con attualissimi riferimenti alla minacciosa presenza delle grandi navi a Venezia, ‘città di crisallo’.
Sindoni chiude con una ballata dal titolo “Futti futti, ca Diu pirduna a tutti”, che fa riferimento all’intreccio di corruzione e complicità verificatosi nel 2006 con l’assalto alla Banca Antonveneta, con il coinvogimento del governatore Fazio e della ‘banda dei quattro’, Consorte, Ricucci, Gnutti, Fiorani.
Una ballata anch’essa attualissima, che induce a riflettere sui fenomeni di accaparramento che sono ancora oggi all’ordine del giorno. Un “Concerto all’italiana, tutto il mondo ormai lo chiama”, ripete Sindoni nel ritornello.

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