Della ‘necessità’ della resistenza scrive, alle amiche dell’UDI di Catania, Salma Ahmed Elamassie, una giovane donna che vive a Gaza e insegna all’università Al Azhar.
Riportiamo il suo coraggioso messaggio
Cari amici,
da qualche giorno provo a
scrivervi. Ma ogni volta mi sento come chi ha un handicap e non riesce nemmeno a prendere la penna per cominciare a scrivere.
Stavolta non voglio più parlare delle distruzioni, non voglio più dare cifre. Trovo che sia inumano dare il numero dei morti e dei feriti. Un essere umano è una persona, non un numero.
Ormai non voglio confrontare le nostre distruzioni con le loro, mai più.
Non voglio dire che gli israeliani hanno ucciso donne e bambini, per non parlare degli uomini, come se fosse legale uccidere degli uomini: la Palestina ha bisogno dei suoi uomini, delle sue donne, dei suoi bambini e dei suoi alberi.
Non voglio ripetere la narrazione sui salari, sulla mancanza di elettricità e di carburanti o di tutto quello di cui si ha bisogno per vivere una vita onorevole, perché noi abbiamo bisogno di vivere in dignità e sono anni ed anni che viviamo invece tra tutte le difficoltà.
Può sorprendervi forse il fatto che questa volta io vi dica che mi sento ‘indifferente’: non ho più la paura nel mio cuore né lacrime agli occhi, nemmeno odio – io non odio nessuno.
Oggi vi voglio parlare della pace, del diritto all’esistenza e alla resistenza.
Durante la prima Intifada le pietre erano l’arma utilizzata contro i crimini dell’esercito israeliano, e infatti l’Intifada prese il nome di guerra delle pietre.
Ecco l’equazione: pietre nelle mani dei palestinesi contro le armi militari degli israeliani e sempre lo stesso risultato: terroristi palestinesi (o arabi).
Da anni le armi israeliane si sviluppano, ma non è lo stesso per le ‘armi’ della resistenza palestinese.
Nel 2006 tutto il mondo ha deciso di
Israele ha pensato che era giunto il momento per eliminare Hamas, ma dopo tutto quello a cui abbiamo assistito nel corso delle offensive israeliane, credo che sia successo proprio il contrario.
Hamas ha costruito tunnel per rifornire il popolo di Gaza di tutto quello che non ha, è normale, perché “ la necessità è la madre dell’invenzione”.
Qui comincia la storia: una pietra non può fermare un razzo o un missile. Razzi e missili devono essere affrontati con razzi. Non si può restare con le mani in mano e aspettare che gli israeliani ci dicano: ‘vi restituiamo i vostri territori perché siete pacifisti’.
Nella mia testimonianza allora ho deciso di parlarvi di mio cugino, ucciso dai missili israeliani.
Stavolta vi parlo di qualcuno che conosco bene. Mio cugino è un resistente, non ho paura di dirlo, anzi, ne sono fiera. Lui ha scelto la sua strada, la resistenza, si è reso conto che occorreva sacrificare cuore, vita, sangue per liberare la Palestina.
L’anno scorso in occasione del primo giorno della festa dell’Aid Aladha mi ha fatto visita, con suo padre.
Ha riso, ha giocato con i miei figli e mi ha promesso di tornare quest’anno per mangiare dei buoni dolci. La festa sarà tra circa 3 settimane e mio cugino non potrà venirmi a trovare.
Il mese scorso aveva aggiunto una sua foto su facebook: era con degli amici in un ristorante, davanti ai piatti vuoti e intento a pensare.
Molti hanno commentato che questi ragazzi vogliono ridere, divertirsi e vivere, vivere in pace. C’è stato uno che ha commentato: ‘so a cosa pensi, chi ha mangiato quei panini?’, un altro rispondeva: ‘ehi amico, vuoi forse un panino anche tu vero?” e lui rispondeva con ironia: “ma ragazzi, non capite? Penso alla mia futura fidanzata, sogno che sia con me qui al ristorante, i panini avranno un gusto più delizioso e l’ambiente sarà più gradevole”.
Il giorno prima del suo assassinio ha aggiunto una foto con amici e vicini di casa e diceva : “ la coppa del mondo è qui, a Gaza”.
Siamo stanchi di tutto questo. Noi amiamo la vita. Non siamo nati con l’odio e l’aggressività nel cuore.
Non ho più paura per i miei figli, non c’è niente di più caro alla Palestina. L’amore per la Palestina ci fa amare la morte per Lei.
Il mio bambino di due anni ogni volta che venivamo bombardati pensava che qualcuno stava bussando alla porta di casa e ci chiedeva di aprire. Stamattina mi è sembrato che non crede più a quello che pensava!
Ha ragione, il mio piccolo, nessuno bussa alla porta in modo così aggressivo.
Gaza City, 10 luglio 2014
A Catania il corteo si è snodato da piazza Stesicoro per proseguire poi lungo via Etnea dove ha sostato davanti alla Prefettura e concludersi infine davanti alla moschea di piazza Cutelli. Molti gli striscioni, i singoli accorsi sull’onda dello sdegno per il sistematico attacco al popolo palestinese e tante le sigle: Rifondazione Comunista, Arci, Rete antirazzista catanese, Comitato di base no muos no Sigonella, sportello di autodifesa precaria, Arcigay, Collettivo Aleph, Officina Rebelde e il comitato catanese della lista Tsipras.
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Triste per gli innocenti - di qualsialsi lato vivano.