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Immigrazione, no a leggi tappabuchi e sì alla pianificazione

Un nuovo cognome si va diffondendo nella provincia di Milano. Hu, tipico cognome cinese, oggi diffusissimo in Lombardia, tra qualche anno potrebbe fare capolino nei libri di grammatica e prendere il posto del quasi mitico Rossi
L’esempio è estremo, paradossale ma non troppo, considerato che i bambini stranieri nati e cresciuti in Italia oggi sono il 50% dei minori che vivono nel bel paese e che popolano i banchi di scuola.
Questo è uno dei dati riportati da Mara Benadusi, antropologa, durante il suo intervento al convegno “Immigrazione: transito o convivenza?”, secondo incontro per il ciclo “Il welfare al tempo della crisi“ organizzato dall’ associazione Officine Siciliane e tenutosi sabato scorso nel salone parrocchiale della chiesa Cuore Immacolato di Maria a Catania.
La studiosa, esperta di immigrazione di seconda generazione, ha illustrato un confronto tra i dati Istat sull’emigrazione degli italiani all’estero e quelli riportati nel XXIII Rapporto immigrazione 2013 della Caritas Migrantes, mostrando come gli immigrati, in questo periodo di crisi economica, sono necessari per la sopravvivenza demografica del nostro paese.
Il crollo delle nascite italiane (nel 2012 il numero di morti ha superato quello dei nati nelle regioni meridionali d’Italia) e l’aumento dell’emigrazione di italiani all’estero sono controbilanciati solo dal tasso di natalità degli stranieri, che supera quello italiano.
Sono, inoltre, il 53% le donne presenti in Italia che hanno origine straniera. Proprio per questi motivi non ha senso continuare a pensare agli immigrati come se fossero in transito e all’immigrazione come un’emergenza.
Su questo aspetto si sofferma Riccardo Campochiaro, operatore legale del Centro Astalli, che spiega come l’immigrazione sia ormai un fenomeno permanente nella nostra società, non collegabile solo ai barconi che approdano sulle coste italiane.

Questa è la fetta più piccola degli immigrati che arrivano nel nostro paese. Il 90% degli immigrati irregolari entrano in Italia con un regolare visto turistico e restano anche dopo la scadenza del permesso. Si tratta comunque di una piccola frazione, circa 500.000 persone, rispetto ai 5 milioni di stranieri regolari.
Allargando un po’ di più lo sguardo, l’Italia è lungi dal vivere una pressione migratoria insormontabile o ingestibile: l’anno scorso nel nostro paese sono state presentate 29 mila richieste d’asilo contro le 109 mila presentate in Germania e il numero totale di domande d’asilo presentate in Europa è di gran lunga inferiore al tasso di sfollati interni e di rifugiati dell’Asia, che è il continente maggiormente soggetto ai flussi immigratori.
E’ evidente allora che pensare alla “emergenza immigrazione” non solo non rispecchia la realtà, ma è anche controproducente perché porta alla creazione di normative contingenti e “tappa buchi” piuttosto che pianificate per azioni di lungo periodo.
Il Testo unico sull’immigrazione, normativa italiana del 1998 che disciplina l’immigrazione, è stato modificato in questi sedici anni praticamente solo con decreti legislativi dei vari governi, giustificati dalla situazione emergenziale di turno. Di leggi fatte dal parlamento ce ne sono davvero poche.
Un altro spunto di riflessione viene proposto dall’economista Maurizio Caserta, che si interroga sul valore economico dell’accoglienza: l’immigrazione (e tutte le attività collegate come sbarchi, regolarizzazioni, integrazione ecc) è un fatto destinato soltanto ad assorbire risorse economiche o può anche generare ricchezza?
E’ controproducente spendere soldi solo per la prima accoglienza dei migranti e poi spronarli a lasciare il paese o indurli implicitamente a inserirsi nel mercato nero. Se si investisse nel capitale umano di queste persone, riuscendo a valorizzare le loro capacità, si potrebbe trasformare, nel lungo periodo, il fenomeno immigratorio in una risorsa economica per il paese.
Come dimostra il lavoro svolto dall’associazione Isola Quassud, di cui parla la fondatrice Emanuela Pistone, non si tratta di una proposta irrealizzabile, L’associazione introduce gli immigrati al teatro e alla musica, seguendoli nel percorso artistico che intraprendono.
In questo modo, Mustafa si è scoperto un promettente musicista e ha iniziato a frequentare il conservatorio di Catania. Altri migranti, insieme ad alcuni studenti del Boggio Lera, hanno fondato la compagnia teatrale “Liquid Company”, un nome che fa riferimento a Bauman e alla liquidità della società attuale, ma anche alla composizione sempre diversa del gruppo.
Breve e intensissima la performance della compagnia, a chiusura del convegno.
Abbiamo piedi e gambe e quindi ci spostiamo. Allora, rassereniamoci! E affrontiamo questa realtà con la consapevolezza di chi studia e osserva un fenomeno inarrestabile della società. L’unica strada da percorrere con successo è quella della pianificazione politica e della contaminazione.

Argo

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