Catania è quasi irriconoscibile nei fotogrammi di “Più buio di mezzanotte”, il film dell’esordiente regista trentenne Sebastiano Riso, presentato a Cannes ed ora rimbalzato dalla Semaine de la Critique nelle sale cinematografiche italiane e quindi siciliane e catanesi.
Forse perché anche noi come il padre del protagonista non vogliamo accettare una verità amara. Forse perché anche noi come la madre del protagonista quella realtà non vogliamo vederla e ci affidiamo alla cecità per salvarci dall’ammissione della sconfitta di una città, di una nazione, di un continente, di un mondo.
Un film dalle atmosfere plumbee, dure, forti, distorte, soffocanti. Merito o colpa, forse, della ripresa effettuata con telecamera digitale ma con vecchie deformanti lenti anamorfiche degli anni 70. Riso lo ha fatto “per comunicare allo spettatore la sensazione di qualcosa che accade oggi, ma è accaduta anche in passato, e potrebbe accadere di nuovo, in un futuro nemmeno troppo lontano».
Più buio di mezzanotte è la traduzione del detto dialettale “Chiù scuru ‘i menzanotti non po’ fari” cioè peggio di così non può andare. E invece no. Anche nel film sembra che il limite dell’angoscia possa essere continuamente spostato in avanti. Sempre di più; come se il buio potesse essere ancora più nero e fitto e denso, una melassa vischiosa e soffocante che toglie il respiro e trascina verso una morte atroce e inevitabile.
Così la villa Bellini già deturpata di suo, sfigurata nella realtà da restauri impropri ancorché costosi, abbandonata al degrado, diventa il giardino delle streghe dove ragazzi scappati dal terrore domestico cercano rifugio notturno.
Le radici e i rami dei grandi ficus ricoperti di scritte si trasformano in arti ossuti e poi in scomodi giacigli che, naturalmente, non riescono a proteggere da incubi e aggressioni. Non solo i vicoli di San Berillo, i cinema a luci rosse, ma anche tutte le strade della città, via Etnea, persino piazza Dante, vengono dipinti come luoghi dell’orrore.
Il film racconta una storia vera, l’adolescenza disperata di Davide Cordova, adesso star e drag queen del Muccassassina, nome d’arte Fuxia, che conserva il suo nome nel film. Si definisce un intersex, non un trans, piuttosto un no gender, meglio un cross-gender.
Dice: “Sono felice di questo film e sono molto fiduciosa e speranzosa che tanti genitori possano capire che a prescindere dalla diversità i figli vanno amati e coccolati, la loro vita va protetta perché è unica. A ciascuno serve amore per aver la forza di continuare a vivere”.
E Pippo Delbono incita all’outing perché non ci siano più giovani gay che si suicidino per omofobia.
A Davide presta il volto l’esordiente Davide Capone (si chiamano tutti Davide, protagonista, attore e ispiratore) pelle diafana e capelli rossi, una bellezza tra Rubens e i Preraffaelliti, scovata, infine, da Riso, dopo novemila provini ad adolescenti, in un liceo musicale palermitano.
La storia è quella di tanti adolescenti di diversa identità sessuale: la violenza del padre (Vincenzo Amato) che non accetta l’omosessualità del ragazzo e lo sottopone a botte, vessazioni e persino una cura ormonale. La bella e bravissima Manuela Ramazzotti è la madre, dolce ma impotente a contrastare la brutalità del marito esercitata contro tutti, contro se stessa e il figlio gay.
«Il mio non è un film sull’omosessualità — spiega Riso a Repubblica— ma sull’affermazione d’identità di un adolescente che ho voluto raccontare senza decori inutili. Ci sono arrivato dopo 12 stesure, e il risultato è un film politico perché la diversità in Italia fa paura. Ma è anche un film d’avventura. Perché inizia con la fuga di Davide verso il ventre di una città, e quella corsa è un percorso di conoscenza, di formazione».
L’abbandono della casa e della famiglia, la vita in strada insieme alla cerchia di amici, tutti emarginati, trans e gay, Marilyn, Rettore e gli altri. Vivono di espedienti, di droga e di prostituzione. Loro. Non lui, Davide, che non si droga e non si prostituisce anche se ci arriva vicino, contattando persino un protettore, Pippo Delbono, prendendo con lui accordi che poi disattende.
E poi c’è questa Catania perduta. «E’ una città che dimostra grande capacità di esprimere cultura, ma non riesce a essere moderna. – dice Riso- Sa meravigliarti ma è scenario di storie terribili. Io sono sudista, perché so che il meridione può essere un’oasi felice e accogliente. Più del nord».
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Questo è un film che tutti dovrebbero vedere. Una realtà oggi come allora ancora presente e pesante. L’accettazione del figlio che deve essere coccolato e trattenuto dalle mani di una famiglia per non perdersi nei meandri del disordine. Questo molta gente dovrebbe capirlo affinché tutto questo sia solo un brutto ricordo… Andare al cinema finalmente per qualcosa che vale veramente la pena