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AddioPizzo, sul bene confiscato ai Riela serve un segnale forte dallo Stato

Un’azienda confiscata alla mafia che non è riuscita a restare in modo competitivo sul mercato e sta per chiudere. E’ Riela Group, azienda di trasporti messa in serie difficoltà

  • dalla famiglia mafiosa che la gestiva, ha cercato -direttamente e indirettamente- di riappropriarsene e poi di distruggerla
  • da alcuni amministratori disonesti, uno già condannato per distrazione di fondi
  • dagli enti pubblici (ma anche dalle altre aziende confiscate) che non hanno scelto di affidarle le proprie commesse utilizzandone i mezzi di trasporto.

Ma non è solo Riela Group a costituire un problema. Il riutilizzo delle aziende confiscate, l’efficacia della loro gestione economica sono problemi più generali, ancora in gran parte irrisolti.
AddioPizzo Catania, dopo la trasmissione Presa Diretta del 17 febbraio, che ha riacceso i riflettori sul caso Riela, ha ritenuto opportuno diffondere un comunicato che oggi riproponiamo. Non tanto perchè lo facciamo integralmente nostro nei suoi contenuti quanto perchè ci sembra utile e necessario riaprire la riflessione e la discussione su questo tema centrale.

Ecco il comunicato di AddioPizzo
La trasmissione Presa Diretta andata in onda il 17 febbraio su Rai 3 ha trattato l’amara e paradossale vicenda della Riela Group, azienda catanese confiscata alla mafia e che in mano allo Stato e all’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati, oggi, va verso il fallimento.
Sarebbe un gravissimo errore pensare, semplicisticamente, che la morale di tale triste vicenda è che con la mafia si lavora e con lo Stato no. Con la mafia non si lavora, anzi, tutt’altro.
La mafia non ha alcun talento imprenditoriale, sconosce il concetto di libero mercato e concorrenza leale, e certamente non ha alcun interesse a tutelare i lavoratori. Tutto ciò, inevitabilmente, porta solo a precarietà e affossamento di quell’economia sana di cui ha bisogno questo Paese.

La vicenda della Riela Group impone tuttavia delle riflessioni sulla reale volontà dello Stato e delle politica in generale di recuperare le centinaia di milioni di euro che rappresentano il valore del “tesoro della mafia” per arginare il fenomeno mafioso e rilanciare l’economia sana, perché non vi è alcun dubbio che oggi la mafia teme più le confische degli arresti.
Viene spontaneo chiedersi però cosa fa oggi la politica italiana per ridare dignità alla volontà di un uomo dello Stato, Pio La Torre, che aveva capito l’importanza del recupero, anche sociale, dei beni confiscati alle mafie e che per questo, nel 1982, è stato ammazzato.
Viene spontaneo chiedersi perché lo Stato ha privato le Prefetture di ogni potere in tale ambito concentrandolo in quell’inutile palazzo del potere che si chiama Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati lontana dalle singole realtà territoriali ed incapace, perché deficitaria di risorse umane ed economiche, di gestire in maniera imprenditoriale i beni confiscati.
Viene spontaneo chiedersi perché gli organi politici preposti al controllo dell’Agenzia hanno taciuto di fronte alla scelta di assumere tra i dipendenti dell’Agenzia l’ex sindaco di Palermo Diego Cammarata, condannato in primo grado a tre anni di reclusione per abuso d’ufficio e falso.
Ed ancora, ci chiediamo:

  • dov’era lo Stato mentre i fratelli Riela, entrambi condannati per associazione mafiosa, lavoravano per dieci lunghi anni in posizione dirigenziale all’interno della Riela Group, già confiscata?
  • dov’era lo Stato mentre più di due amministratori finanziari della ex Riela Group distraevano fondi dall’azienda (e per questo venivano condannati)?

Mala fede, incompetenza, inadeguatezza, a questo punto non fa più differenza.
Sono passati più di 15 anni da quando l’azienda è stata confiscata, e di cose ne sono successe parecchie. Per esempio, dopo che finalmente, i fratelli Riela furono licenziati, la maggior parte dei dipendenti decise di abbandonare la ex Riela Group per andare a lavorare presso il Consorzio Se.Tra (quello stesso consorzio creato ad hoc dai fratelli Riela e che ha truffato la ex Riela Group, e quindi lo Stato, per oltre 6 milioni di euro, come accertato già in primo grado di giudizio).
Lo Stato provò allora a fare ripartire l’azienda e assunse diversi lavoratori che lasciarono le liste di mobilità perché scelsero di fidarsi dello Stato, quello stesso Stato, che oggi li licenzia perchè l’azienda non ce la fa.
Ma la vicenda è vecchia, e probabilmente interessa a pochi. E’ frutto di errori di troppi soggetti, non è facile puntare il dito su qualcuno, ed è per questo che fino ad ora si è preferito parlare genericamente di Stato. Perché la responsabilità è collettiva, è di tutti, di tutti fuorchè di questi 12 lavoratori e delle loro famiglie che oggi si ritrovano senza lavoro, e senza un perché.
Pubblicamente quindi, stavolta, Addiopizzo Catania ritiene opportuno chiedere allo Stato, a tutti i suoi livelli politico-territoriali, un segnale concreto che vada al di là delle trite frasi di circostanza.
Era ed è davvero così difficile affidare all’azienda delle commesse? Che si provveda, allora, alla ricollocazione di questi lavoratori. Perchè i lavoratori non sono numeri, e le loro famiglie non sono fascicoli da chiudere.
E perché non si tratta di diritti dei lavoratori in questo caso, ma di dovere dello Stato. E’ lo Stato che, negli anni, più o meno indirettamente, ha portato a questo sfacelo.
Tocca allo Stato quindi risolvere nello specifico questa vicenda anche solo per dare un segnale forte e concreto alle famiglie dei lavoratori ingiustamente licenziati e consentire a quanti, e noi siamo tra questi, di continuare ad avere fiducia nelle Istituzioni
In attesa di un riscontro da parte di chi ritiene di essere in grado di dare delle risposte concrete, rimaniamo a disposizione di chiunque, a livello politico, giornalistico, o imprenditoriale, volesse approfondire la vicenda della Riela Group.
Addiopizzo Catania

Argo

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  • gridare alla scandalo perchè le società legate alla Riela Group si avviano verso la liquidazione finale è perfettamente inutile in quanto è risaputo che non c'è azienda, società o negozio che reggono in mancanza o in assenza del titolare. Il sequestro, sin dalle prime battute, è solo lo strumento per fare guadagnare stipiendi favolosi a commercialisti ed avvocati noti alla Casta.Non appena il fondo viene raschiato, si chiude e si manda tutto a " gambe all'aria.".Denunciare lo scandalo è pura ipocrisia.Lo sanno tutti.

  • Ha ragione meglio stare zitti e fare finta di niente.....
    Se me lo consente la vorrei candidare per il prossimo Nobel

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