Basta con le slot machine. Evviva i giochi di relazione anche fatti per strada. Sulla base di queste parole d’ordine un nutrito gruppo di persone, molti giovani, anche studenti liceali, ha partecipato ieri pomeriggio allo ‘slotmob’ organizzato in via Ventimiglia 148, davanti al Bar Coppola, l’esercizio commerciale che, andando controcorrente, rifiuta di ospitare le macchinette mangia-soldi e mangia-cervello.
Perchè slotmob? Perchè il ‘mob’ è una forma di mobilitazione, un modo per rompere la consuetudine, quella sempre più pervasiva che si diffonde sul nostro territorio ponendo l’Italia al primo posto nella classifica europea del gioco d’azzardo.
A Catania l’evento è stato contrassegnato dal numero 27, perchè si è trattato del ventisettesimo appuntamento organizzato dal Movimento No Slot all’interno della campagna nazionale contro il gioco d’azzardo ‘Mettiamoci in gioco’, nata nel 2012 e diffusasi per tutto lo stivale ad opera di una pluralità di soggetti: istituzioni, organizzazioni di terzo settore, associazioni di consumatori, sindacati.
Nessuna bandiera, nessun segno distintivo delle associazioni che si sono impegnate, anche qui in loco, ad organizzare questo momento simbolico, proponendo -invece del passatempo virtuale, solitario ed alienante delle macchinette- alcuni giochi reali, di relazione, persino di movimento, dal calcio balilla al tradizionale gioco del fazzoletto.
L’esperienza di un imprenditore coraggioso
Giovanni Coppola, proprietario del bar omonimo, si muove tra l’interno e l’esterno del locale, stringe tutte le mani e non si sottrae alle interviste. Racconta la sua esperienza, quella di un imprenditore che gestisce il suo locale da trent’anni, che -quando ha ricevuto le prime richieste di ‘pizzo’– si è subito rivolto ai carabinieri, che ha stretto rapporti con AddioPizzo (iscrivendosi alla lista pizzo free) e con l’associazione antiestorsione (ASAEC) Libero Grassi e che -insieme al M5S– ha presentato in Comune una petizione per intitolare a Rocco Chinnici una via di Catania.
Non uno sprovveduto, dunque, ma una persona consapevole e informata, un cittadino che lamenta l’assenza delle istituzioni nel suo quartiere, sempre più abbandonato al degrado, lasciato in balia di una illuminazione inadeguata o addirittura del buio, della sporcizia, dei cani randagi, dei ratti.
Lo slotmob vuole premiare gli esercenti che dicono no alle slot machines, dando loro visibilità e offrendo un sostegno morale che diventa anche sostegno economico nel momento in cui si suggerisce implicitamente di privilegiare un bar come questo per prendere un caffè e fare due chiacchiere, restituendo a questo genere di locale la funzione di incontro, di possibilità di relazioni sociali.
Un sostegno necessario perchè diventa sempre più difficile, soprattutto in tempi di crisi, rifiutare l’opportunità di ricavare dalle ‘macchinette’ anche 2000 euro di più al mese.
La dipendenza dalla droga-gioco
Ma c’è qualcosa di più dietro questa campagna, c’è la volontà di opporsi ad una nuova forma di arricchimento e di controllo del territorio da parte delle organizzazioni criminali. La mafia intercetta subito i grossi giri di denaro e in questo caso si tratta anche di denaro contante con relativa possibilità di riciclaggio. Ormai il collocamento delle slot viene spesso imposto come misura alternativa alla richiesta di pizzo, mentre le perdite realizzate con il gioco d’azzardo alimentano il fenomeno dell’usura.
La crisi non fa altro che alimentare il fenomeno. Sono proprio i più poveri ad avvicinarsi al gioco con la speranza di vincere, con la conseguenza che la loro povertà si aggrava e si avvia un circolo vizioso.
Come è stato detto alla conferenza stampa di presentazione dello slotmob, “è ormai appurato che la dipendenza dal gioco è più forte di quella dalla droga. In alcuni locali adibiti al gioco non c’è l’orologio e non ci sono finestre, per non far rendere conto alle persone dello scorrere del tempo”.
Cosa fa lo Stato a questo proposito? Esercita un ruolo quanto mai contraddittorio. Ha legalizzato il gioco per contrastare le scommesse clandestine ed evitare le infiltrazioni malavitose, ma di fatto lo ha trasformato in un’opportunità per aumentare le entrate e fare cassa. Ne consegue un comportamento schizofrenico, lo Stato da un lato promuove il gioco e dall’altro paga le cure per chi è dipendente.
E non parliamo di piccoli numeri. Come leggiamo sul sito dedicato alla campagna Mettiamoci in gioco “in mancanza di rilevazioni e ricerche epidemiologiche precise le ‘vittime’ dirette del gioco d’azzardo – i giocatori patologici o ad alto rischio di dipendenza – sono stimate in circa un milione”
La campagna di Mettiamoci in gioco
La campagna si propone di
- dare ai sindaci un reale potere di controllo sul fenomeno nel loro territorio;
- ridurre l’alta variabilità attuale nella tassazione sui diversi giochi incrementando le entrate per lo Stato, rimaste stabili pur in presenza di un volume d’affari crescente;
- portare a termine le procedure per l’inserimento del gioco d’azzardo patologico nei Livelli essenziali di assistenza che devono essere garantiti dal servizio sanitario nazionale;
- vincolare l’1% del fatturato annuo dei giochi d’azzardo al finanziamento delle azioni di prevenzione, assistenza, cura e ricerca relative al gioco d’azzardo patologico;
- dare seguito a quanto stabilito nel decreto Balduzzi sulla regolamentazione della pubblicità che riguarda il gioco d’azzardo, vietando inoltre le pubblicità che indicano le possibilità di vincita senza contrapporle alle possibilità di perdita e quelle che promuovono illusorie probabilità di vincite facili;
- vincolare l’esercizio delle concessioni al rispetto del codice di autoregolamentazione pubblicitaria adottato dalla Federazione Sistema Gioco Italia, stabilendo al contempo una Authority di controllo esterna ad Aams;
- stabilire una moratoria sull’introduzione di nuovi giochi fino a quando non saranno noti i risultati delle ricerche promosse da enti terzi sui rischi e i benefici delle attuali politiche in materia;
- adottare un registro unico nazionale delle persone che chiedono l’autoesclusione dai siti di gioco d’azzardo.
Un regolamento della città di Catania
A Catania, come nel resto d’Italia, si cerca di agire di concerto con il Comune, al quale si chiede anche un regolamento che tenda a restringere e a controllare il fenomeno. Sembra esserci, almeno fino ad ora, una certa sensibilità da parte della Giunta e anche un gruppo di consiglieri si è dichiarato disponibile a sollecitare l’emanazione di un provvedimento ad hoc.
Ce lo racconta Giuseppe Vinci di Libera, uno dei più attivi organizzatori -insieme allo psicologo Pino Fusari– di questa campagna nella nostra provincia.
Un modello potrebbe essere il regolamento approvato dalla Giunta comunale di Genova, che stabilisce, per le sale da gioco, una distanza di almeno 300 metri da scuole, luoghi di aggregazione per anziani e altri luoghi ‘sensibili’, aggiungendo una distanza minima di 100 metri da uffici postali, sportelli bancari e bancomat, per rendere meno immediato il passaggio del denaro dai conti correnti alle macchinette mangiasoldi. Vengono fissati anche gli orari delle sale da gioco che non potranno aprire prima delle nove del mattino e dovranno chiudere alle 21.
Nel prendere il provvedimento, l’amministrazione è stata incoraggiata dai pronunciamenti del Tar Liguria contro i ricorsi avanzati dai gestori e dalle associazioni di categoria, mentre altri Tar hanno manifestato orientamenti opposti.
Vedremo cosa accadrà a Catania, gli interessi in gioco (e mai espressione fu più pertinente…) sono troppo grossi per considerare vinta una battaglia appena cominciata.
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