Libertà e responsabilità, due facce di una medaglia e due parole chiave nella vita di Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore della Banca privata italiana, assassinato l’11 luglio del 79, dalla criminalità organizzata e da esponenti del mondo politico-finanziario degli anni 70. Lo ha ricordato oggi il più giovane dei figli, Umberto, penalista, che ha ereditato dal padre la fede nella legalità. A tutti i costi.
Così nel corso del convegno «L’etica nelle professioni e nelle istituzioni», che si è tenuto ieri nell’aula magna della facoltà di Lettere di Catania davanti ad alcune classi di studenti, non tutti e non del tutto attenti, si è parlato di quello che lo scrittore Stajano ha definito un ‘eroe borghese‘ in un libro famoso dal quale è nato un altrettanto famoso film.
Cosa aveva fatto Giorgio Ambrosoli perché malavita, massoneria e forze eversive tentassero prima di corromperlo, poi lo minacciassero e infine lo condannassero a morte? Semplicemente il proprio, normale, onesto dovere.
Come commissario liquidatore, indagando sul crack della Banca privata italiana, aveva scoperto le malefatte del banchiere Sindona e i finanziamenti alla Democrazia cristiana con denaro sottratto dal banchiere siciliano ai fondi depositati dai correntisti, due miliardi solo in occasione del referendum sul divorzio.
Era un eroe Giorgio Ambrosoli? “No, papà non voleva né morire, né essere eroe; era solo un uomo che credeva in alcuni valori – risponde Umberto Ambrosoli – un uomo che non si faceva corrompere né intimidire; era ed è un esempio di come si possa essere cittadini; per lui era importante il rispetto delle regole e l’affermazione dei diritti. Operava con la consapevolezza della propria responsabilità e la consapevolezza della propria responsabilità va necessariamente assieme alla consapevolezza del significato della propria libertà. E difendere la propria libertà diventa il modo per rappresentare gli interessi della collettività. Questo, in sintesi, ha fatto papà”.
“E del resto – continua- se non sono capace di difendere la mia libertà che vita vivo? Non la mia vita ma quella di chi mi vuole mettere paura”.
Questo prezioso bagaglio Umberto Ambrosoli vuole adesso trasmettere ai suoi figli e a tutti i ragazzi. Lo fa dalla pagine del suo libro “Qualunque cosa succeda” e lo fa recandosi nelle aule delle scuole, delle università, nei circoli, nei centri di aggregazione.
Ci mette anche a parte di un ricordo mentre sullo schermo appaiono le immagini di quella famiglia felice prima dell’11 luglio del ’79.
“Era settembre ed eravamo andati a trovare i suoi genitori, il nonno Dino e la nonna Piera, per il mio settimo compleanno. Lui aveva nascosto il mio regalo sotto l’Alfetta blu parcheggiata alla sinistra dell’acero; io per prenderlo dovevo sdraiarmi sulla ghiaia e lentamente scivolare sotto la macchina. A ogni mio tentativo di infilarmi sotto l’auto, lui suonava un colpo di clacson, facendomi ridere e retrocedere. Ricordo ancora quanta fatica ho fatto per recuperare la mia prima cartella per la scuola, di colore blu. E’ stato il mio ultimo compleanno con lui”.
Racconta ai suoi figli di nonno Giorgio, per il quale non c’era nemmeno il ‘divertimento senza regole’, “di quello che ha fatto, del perché in tanti continuano a ricordarlo, di come con la sua vita vi abbia fatto un dono bellissimo, anche se non l’avete mai conosciuto, che potrà essere per voi come la radici per gli alberi“.
Ma “la sua memoria è viva per ciò che lui ha fatto, non per il gesto criminale che ha posto termine alla sua vita. Per le sue azioni da vivo, non per il fatto di essere stato ucciso.”
Esiste un calendario, il calendario dei santi laici, che assegna ogni giorno a un italiano che con il suo lavoro ha onorato il suo paese. “Il 12 luglio è il giorno di Giorgio Ambrosoli, mio papà , vostro nonno. Lui ha infatti creduto talmente nella propria libertà e nel rispetto delle regole che sovrintendono al bene comune da arrivare a sacrificare perché quel bene fosse salvo, la sua stessa vita”.
Le immagini scorrono , il giorno del matrimonio, la famiglia felice al mare o sullo sfondo delle montagne. Dalla prima fila ha gli occhi lucidi la moglie di Giorgio, Annalorenza Gorla Ambrosoli, molto bella nonostante gli anni e i capelli bianchi. Ce ne fossero di Giorgio Ambrosoli in questa nostra epoca senza onore e senza speranza. Ma forse la colpa è un po’ di tutti noi che dovremmo fare soltanto il nostro dovere. Giorno dopo giorno, semplicemente.
Nella seconda parte del convegno «L`Etica nelle professioni e nelle Istituzioni: la figura di Giorgio Ambrosoli», che si è tenuta nell’aula delle adunanze di palazzo di giustizia di Catania, sono stati proposti molti spunti di riflessione.
Il vice presidente Nazionale Confcommercio Imprese per l`Italia Pietro Agen, ha sottolineato la necessità di passare dall’etica delle dichiarazioni e dei proclami a quella dei comportamenti. Dell’importanza di un’etica professionale nella formazione degli avvocati ha parlato il consigliere dell’Ordine degli avvocati di Catania Diego Geraci.
Un tema questo dell’etica del difensore ripreso da Umberto Ambrosoli secondo il quale occorre segnare i confini della responsabilità anche per gli avvocati che devono agire non solo nell’interesse degli assistiti ma anche in quello della nazione, in quello generale. “Sì, insomma alla difesa tecnica- ha detto Ambrosoli – no alla difesa ad oltranza”.
Di etica e magistratura ha parlato Simona Ragazzi del Tribunale del riesame,
Ciascun magistrato -ha affermato- è l’immagine della magistratura e il suo comportamento deve essere irreprensibile, lontano da “condotte lesive della credibilità personale e del prestigio dell’istituzione giudiziaria”, “perchè la macchia del singolo si riflette sulla fiducia che i cittadini hanno in noi”.
E’ sbagliata la convinzione diffusa che chi giudica sia un privilegiato che non paga per le proprie colpe. E’ invece sottoposto a molte e severe forme di controllo e, per lui, “anche spazi che in altre categorie dovrebbero essere dell’etica sono assorbiti e attratti dal disciplinare”, che dovrebbe però essere caratterizzato da un approccio meno burocratico.
“Ma -sostiene Ragazzi- c’è una nuova dimensione dell’etica, è quella della responsabilità del dirigere e dell’organizzare gli uffici e della prospettiva di ciò che serve alla giustizia per funzionare meglio.
Disfunzioni della giustizia spesso infatti sono imputabili a cattive scelte organizzative o peggio alla mancanza di strumenti e risorse, alla farraginosità di alcune procedure, alla scure della prescrizione, etc.. Qui ci vuole etica collettiva e assunzione di responsabilità della politica“
In conclusione, “quanto più la giustizia funzionerà meglio nel suo complesso, con il concorso di tutti, e darà risposte più rapide ed efficaci ai cittadini che chiedono giustizia, tanto più i cittadini staranno ‘dalla nostra parte’ e non si rivolgeranno a poteri criminali e paracriminali per ottenere il soddisfacimento delle proprie esigenze”.
Agli interventi dei relatori si sono aggiunte le testimonianze di chi ha pagato prezzi non indifferenti per aver fatto il proprio dovere
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Grazie per aver ricordato Giorgio Ambrosoli, un libero professionista che, incaricato di svolgere un ruolo delicato, lo ha fatto in modo coerente con i propri valori. Ci ha insegnato molto, senza protagonismi rumorosi e parole superflue. Un vero modello, da imitare e proporre ai nostri ragazzi.