È sempre più sentita infatti la necessità di un modello di vita sostenibile, che metta un freno alla costruzione selvaggia, al consumismo e agli sprechi, perché, come dice Serge Latouche, non sempre vi è una correlazione tra crescita economica e benessere.
In questo gruppo di viandanti, composto per scelta da esperti comunicatori (blogger, video maker, fotografi, esperti di social network, un pittore acquarellista e un compositore di filastrocche) c’era anche una siciliana: Raffaella Spadola, che ha tenuto il blog-diario di viaggio “decrescendo da sud” e ha collaborato alla realizzazione del video ‘A passo lento verso la decrescita’, costruito con le testimonianze raccolte durante il viaggio, nel quale viaggiatori e passanti si sono interrogati insieme sul senso della decrescita..
“La parola decrescita ha un significato apparentemente negativo,” ci spiega Raffaella, “ma solo perché abbiamo finora attribuito alla crescita un significato positivo.” Per questo motivo c’è chi ha cercato di mitigare la parola aggiungendo degli aggettivi come ‘serena’ e ‘felice’.
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Il simbolo di questo viaggio verso la decrescita è una lumaca sorridente: “non solo perché si tratta di un cammino lento,” scrive Raffaella, “ma anche perché, come la lumaca, dobbiamo portarci una casa appresso. E lo zaino diventa il nostro guscio.”
Poi ci spiega che in realtà c’è anche un altro significato, che fa riferimento alla “Saggezza della lumaca” di Ivan Illich: “La lumaca costruisce la delicata architettura della sua conchiglia aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più grandi, poi cessa bruscamente e dà inizio ad avvolgimenti, questa volta decrescenti. Il fatto è che una sola, ulteriore spira più larga conferirebbe alla conchiglia una dimensione sedici volte maggiore. Invece di contribuire al benessere dell’animale, lo sovraccaricherebbe.” Ed è così che questa metafora diventa un invito a fermarci, prima di diventare a nostra volta un peso insostenibile per il pianeta.
Dobbiamo però precisare che questa cultura del viaggio lento non è limitata solo all’ambito economico, ma coinvolge anche a quello sociale.
Raffaella ci racconta infatti come questo viaggio si sia rivelato, innanzitutto, un’esperienza umana: “Penso che il nostro cammino sia un viaggio di scoperta, incontriamo ogni giorno tante persone diverse: diverse tra loro, diverse da noi. Ma la diversità, la stranezza anche, se vuoi diventano ricchezza e conoscenza.”
Gli asini, Gigi, Greta, Gastone e Ginevra, erano anche il pretesto che faceva avvicinare le persone (soprattutto bambini), e che le portava ad aprirsi e a fare conoscenza con dei perfetti sconosciuti: “Busso alla porta di una villetta per chiedere se mi fanno mettere in carica la batteria della fotocamera” racconta Raffaella. “Mi apre Cristina, e la invito a venire a vedere gli asini con i bambini, se vuole. Lei rientra in casa ed esce fuori con i figli, ma anche con una sporta piena di roba: vino, soppressa, biscotti… magie della viandanza!”
Durante il viaggio da Ferrara a Venezia, il gruppo è stato ospitato da scuole, fattorie, centri culturali, pizzerie a Km0 e aziende che valorizzano forme di economia sostenibile e non ci hanno pensato due volte a offrire ristoro e accoglienza. Ma a volte un’offerta di ospitalità è venuta anche da privati, come Sonia, a cui “Semplicemente, mi piaceva l’idea di ospitarvi e di camminare un giorno con voi.” Così come ha camminato con loro anche un signore cieco che voleva accarezzare gli asini.
Forse una delle esperienze più significative è stata l’essere ospitati da una comunità di recupero per alcolisti e tossicodipendenti.
“Oltre a una calda accoglienza, i ragazzi della comunità ci hanno regalato un video rap, scritto appositamente da uno di loro, Attias. Camminare slow è anche questo: ti fermi, incontri persone col cuore in mano, e scambi un pezzo di vita con loro.”
Qualche giorno dopo, i viandanti sono stati ospitati da una cooperativa sociale per il reinserimento dei disabili, e anche stavolta il coinvolgimento umano è stato massimo:
“Il pranzo presso la cooperativa è una festa. Noi del gruppo siamo distribuiti nei vari tavoli, così ciascuno di noi può conoscere alcuni utenti e operatori del centro.” scrive Raffaella, “E ci allontaniamo dopo pranzo con un senso di pienezza che non è solo di cibo, ma anche di emozioni.”
Come diceva Marcel Proust,
* foto di Anna Antonioli, Lucia Coszach, Raffaella Spadola e Davide Toffanin.
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