E adesso che le parabole sono state montate, sta forse calando il sipario sulla questione Muos? Niente affatto. Non solo perchè gli attivisti dichiarano che non molleranno e continueranno a dare battaglia, non solo perchè la questione legale è ancora aperta, come ci ha ricordato giorni fa Nello Papandrea. C’è un motivo di più per continuare a parlarne. Attorno al Muos si è riattivata una riflessione sui principi e sui diritti, da quelli costituzionali a quelli di autodeterminazione dei popoli.
E si sono riaperte molte domande. Questa installazione è avvenuta, nel merito e nel metodo, in conformità con i principi costituzionali e dei metodi democratici? La sovranità nazionale italiana è stata rispettata (che ci fosse un problema di sovranità ce lo ricordava, mesi fa, il generale Mini)? In quale contesto di accordi internazionali sono state prese le decisioni che hanno consentito la costruzione di questa base?
Con alcuni questi interrogativi si sono confrontati il 22 ottobre scorso due autorevoli studiosi del dipartimento di Giurisprudenza dell’Ateneo catanese: Agatino Cariola (link al video) docente di Diritto Costituzionale e Rosario Sapienza (link al video), docente di Diritto internazionale. Proviamo oggi a riproporre alcune delle questioni da essi discusse per favorire la continuazione e l’approfondimento della riflessione su questi temi essenziali.
Cariola, trattando il tema della conformità del Muos con la Costituzione italiana ha affermato che tale questione concerne il rapporto tra democrazia e politica estera e militare. In proposito la Costituzione italiana contiene alcune norme-principio che configurano un sistema.
Innanzitutto il ripudio della guerra come strumento di risoluzione della controversie internazionali e, inoltre, una rigorosa disciplina dello stato di guerra, che può essere decisa solo in un contesto strettamente difensivo.
Anche le normali e pacifiche relazioni con gli altri Stati vengono assoggettate al principio democratico: la ratifica della gran parte dei trattati internazionali, ovvero quelli più importanti, deve essere autorizzata mediante legge votata dal Parlamento. Cosa che non costituisce soltanto un obbligo procedurale, ma uno strumento per garantire democrazia, partecipazione, controllo dei cittadini (attraverso la pubblicità del procedimento) e tutela del principio pacifista.
Per quanto concerne il MUOS (la rete di 4 sistemi USA di mega-antenne e satelliti per telecomunicazioni ultraveloci, uno dei quali dovrebbe avere sede nella base USA di Niscemi), Cariola fa riferimento al Trattato NATO del 1948 e ad un trattato segreto del 1954 nonché ad alcuni accordi applicativi sulle infrastrutture militari.
La Costituzione italiana esige l’intervento del Parlamento su tali decisioni, di indubbia rilevanza politica, il che, a proposito del MUOS, non è avvenuto.
Né vale obiettare, come ha fatto la difesa dello Stato nel ricorso al TAR di Palermo, che tutto ciò troverebbe fondamento e legittimazione nel Trattato NATO del 1948: tale trattato non fa alcuna menzione di installazioni militari, ma contiene all’art. 3 solo un obbligo da parte degli Stati contraenti a una generica assistenza e cooperazione in caso di attacco armato da parte di Stati terzi.
In conseguenza, l’assunzione di nuovi obblighi, da parte dello Stato italiano, va assoggettata alla normale disciplina prevista dalla Costituzione per i trattati internazionali.
Il fatto che ciò non sia avvenuto fa sì che la decisione (peraltro mediante atti amministrativi del Ministero della difesa e della Regione Sicilia e al di fuori di una deliberazione del Consiglio dei ministri) di consentire la creazione a Niscemi della base USA, destinata al MUOS, vada considerata manifestamente illegittima.
Cariola conclude mettendo in rilievo che, ad onta di quanto prevede l’art. 22 del Trattato del 1954 sugli immobili di interesse alla difesa, che dovrebbero diventare di proprietà dello Stato italiano (demanio militare), la porzione del territorio del Comune di Niscemi attualmente destinata al sistema MUOS non potrà diventare demanio militare, al più potrà essere riacquistato dallo Stato italiano, con un ulteriore esborso di denaro pubblico.
Ed anche per questo il decreto relativo al MUOS va considerato di dubbia legittimità.
La questione, in generale, delle basi militari risulta più complessa se rapportata anche all’ordinamento internazionale.
Come afferma autorevolmente Rosario Sapienza, il regime delle basi militari è regolato da accordi bilaterali, accompagnati da altrettanti accordi segreti (coperti cioè dal segreto militare). Proprio per questo i cittadini non sanno nulla del contenuto di tali accordi, se non quello che viene reso pubblico.
Occorre distinguere tra basi militari di Stato straniero e basi militari di alleanze politico-militare, di cui è parte lo Stato concedente, quale la NATO. Per quanto riguarda l’Italia, la distinzione concerne le basi USA e le basi Nato.
Dal punto di vista giuridico formale non vi sarebbe cessione di sovranità territoriale – il territorio destinato alla base rimane territorio italiano – vi sarebbe però una parte di esso nella piena disponibilità di fatto delle Forze Armate USA (o dei comandi NATO) – e in caso di necessità di utilizzo della base, il Governo italiano dovrebbe chiedere l’autorizzazione al Comandante della base, sia essa USA o NATO.
Anche l’ipotesi della cosiddetta doppia chiave (necessità di autorizzazione anche dello Stato concedente, oltre che di quello concessionario della base) per l’uso della base per operazioni belliche, particolarmente nell’eventualità di utilizzo di ordigni nucleari, appare del tutto astratta.
Al più è consentito allo Stato concedente solo la possibilità di accedere ad informazioni su quanto avviene; e quelle che vengono date sono spesso molto vaghe e generiche.
La disseminazione di basi militari USA – peraltro, in tutto il mondo – è avvenuta in un contesto storicamente determinato – la fine dell’ultima guerra e, aggiungiamo, l’inizio della guerra fredda con il Patto di Varsavia – ed i rapporti tra paese concedente e paese concessionario della base, se pure disciplinati sulla base di trattati bilaterali fra Stati formalmente sovrani, assomigliano nei fatti a quelli fra Paesi occupanti e Paesi occupati, particolarmente nel caso di Stati, come l’Italia, sconfitti nell’ultima guerra mondiale.
Ed anche per questo, conclude Sapienza con un accenno di sconforto, gli strumenti giuridici, pur astrattamente utilizzabili, lo sono con molta difficoltà in tale settore. La soluzione, ci permettiamo di aggiungere, andrebbe allora ricercata in una più generale rinegoziazione dei trattati relativi, cosa certamente non facile.
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