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Fava e i tanti modi di fare antimafia

“Fava è stato ucciso dalla Città, una Città che marciva, che non gli perdonava di chiamare i boss boss e i mafiosi mafiosi, di denunciare i ‘cavalieri dell’apocalisse’ e la protezione di cui godevano da parte delle Istituzioni”. Così Francesco Merlo, nel corso dell’incontro promosso da due Licei catanesi (Cutelli e Boggio Lera) per ricordare Pippo Fava nel trentennale dell’assassinio, ha sintetizzato quella che, con fatica, sta diventando una memoria condivisa.
Dopo i saluti dei dirigenti scolastici dei due Istituti (Raimondo Marino e Maria Giuseppa Lo Bianco) è toccato a Salvatore Distefano, docente del Liceo Cutelli, spiegare che l’incontro concludeva un percorso didattico che ha consentito, a docenti e alunni, di ricostruire, attraverso l’uso di ‘fonti tradizionali’, di interviste e filmati, di testimonianze di giornalisti, avvocati e operatori culturali, il contesto sociale e culturale nel quale maturò l’assassinio mafioso.
In particolare, Distefano ha ricordato l’ulteriore ‘salto di qualità’ operato dalla mafia con gli omicidi La Torre e Dalla Chiesa (che con la famosa intervista a Giorgio Bocca aveva denunciato, fra l’altro, l’esistenza di rapporti organici fra mafia e forze politiche, allora, di governo) e il ruolo fondamentale ‘giocato’ degli studenti catanesi che, mentre la Città ufficiale non prendeva posizione (o addirittura provava a depistare le indagini), avevano individuato, e denunciato, la natura mafiosa del delitto.
Una parola – mafia – che, ha ricordato nel suo intervento Claudio Fava, il sindaco di allora, durante il discorso di commemorazione, non pronunciò mai.
Merlo si è anche interrogato sui motivi per cui la sinistra e il mondo sindacale siciliano, fino al delitto Fava, non avevano condotto, nella parte orientale dell’Isola, una coerente lotta contro la mafia, diversamente da ciò che accadeva sul “fronte occidentale”.
La risposta sta, forse, nelle considerazioni di Claudio Fava che, ricostruendo il clima di quegli anni, ha ricordato come in tante, troppe, foto ricordo scattate in occasioni ufficiali (matrimoni, inaugurazione di attività commerciali) al centro dell’immagine ci fosse Nitto Santapaola, attorniato dalle massime autorità civili e politiche.
Il Procuratore Giovanni Salvi ha, innanzitutto, sottolineato con forza quanto siano distanti quegli anni e quei comportamenti. Non a caso, all’iniziativa hanno partecipato anche Annamaria Polimeni (in rappresentanza della Prefetta, di cui è vicaria) e il sindaco Bianco, che ha affermato di voler fare della battaglia per la legalità la cifra essenziale del proprio mandato.
Oggi, le indagini -ha detto ancora Salvi- proseguono più speditamente e con risultati importanti: molti esponenti malavitosi ritratti in quelle foto si trovano in carcere (spesso condannati all’ergastolo), i latitanti, diversamente dal passato, non conducono più ‘vite dorate’, proprio perché sono state significativamente ridotte le zone di contiguità.
Tutto a posto dunque? Ha vinto Pippo Fava, la sua ‘irriverenza’, la sua capacità di guardare il mondo, come ha detto il figlio, anche con gli occhi di Caino, così da leggere la realtà in modo meno superficiale e squarciare il velo di silenzio che rendeva muta tutta la Città?
La Catania, secondo Merlo, di Verga e Capuana, Brancati e Turi Ferro che era stata “assassinata” il 5 gennaio di trenta anni fa? Non c’è più quella borghesia parassitaria che non imprende ma sfrutta le opportunità pubbliche?
Al contrario, ha ricordato Salvi, la consapevolezza dei successi ottenuti deve spingere tutti a non abbassare la guardia, a far crescere il tessuto democratico e civile, a difendere il territorio, bene comune, da ulteriori speculazioni e voglie “predatorie”.
Accettando il fatto che ci sono tanti modi per proseguire la battaglia antimafiosa, che esistono differenze fra chi privilegia “l’antimafia sociale” e chi predilige i “percorsi istituzionali” e che, talvolta, questi percorsi possono essere fra loro conflittuali, se la scuola, come in questo caso, funziona da scuola, promuove la memoria civile e permette momenti collettivi di approfondimento e riflessione, sarà più difficile che un nuovo velo di silenzio riavvolga Catania.

Argo

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  • No, non c'è una memoria condivisa. Una cosa è la memoria di Merlo (mai una parola contro Ciancio) o di Bianco, una cosa la memoria mia o di Luciano Bruno. Non è casuale che il diritto di parola, nella Catania borghese, venga dato a Merlo e Bianco e non a Luciano e me.
    E' stata data una pessima lezione, ai ragazzi del Cutelli. Con l'unica eccezione del procuratore Salvi (che ha citato l'antimafia sociale e ha denunciato la borghesia mafiosa) questa non è stata una giornata di verità, ma di riscrittura della verità. Merlo si è spinto a dire che il rinnovamento contemporaneamente si muoveva nei "Siciliani" e in "La Sicilia", citando - fra i "rinnovatori" - quel Cannavò che a suo tempo fu fra i firmatari dell'appello in difesa della "Catania calunnitata" da Joe Marrazzo, il primo a parlare in tv di caso Catania: un'operazione da Ministero della Verità.
    * * *
    Giuseppe Fava non è affatto il bel monumento simpatico in cui vorrebbero trasformarlo. E' il simbolo di una divisione e di una lotta, in cui bisogna schierarsi, o da una parte o dall'altra. I Fabio D'Urso, i Luciano Bruno, i Giovanni Caruso, i ragazzi dei Siciliani giovani (non a caso, in quella giornata, del tutto ignorati) hanno dimostrato, con anni di lavoro, rischi e di sacrifici, di essere da una parte. I grandi giornalisti alla Merlo e i grandi politici alla Bianco, con tutte le loro belle parole, sono dall'altra.
    * * *
    Fra gli organizzatori di questa pessima giornata, in cui la verità è stata colpevolmente negata ai ragazzi del Cutelli (il Cutelli era una roccaforte dei Siciliani giovani) ritrovo amici e compagni dei tempi duri, come Di Stefano. Un'amicizia finita qui: questo - fra i prezzi che ho pagato finora per non tradire Giuseppe Fava - è dei peggiori.

  • Il dibattito di cui si parla ha concluso un progetto più articolato proposto da docenti e alunni dei due Licei. I Siciliani Giovani, come ha ricordato la Preside del Boggio Lera nel suo intervento, hanno contribuito a sviluppare un tale percorso. Lo stesso Orioles ha partecipato, come relatore, a uno di questi incontri.
    La ricostruzione del dibattito di giorno 9, probabilmente anche perché Orioles non era presente, riferisce parzialmente, e spesso in modo impreciso, l’andamento della discussione, che Argo ha provato a proporre nei suoi tratti essenziali.
    Solo per fare alcune precisazioni: di borghesia mafiosa hanno parlato Distefano e Fava, di borghesia parassitaria Merlo e Salvi. Di importanza che la memoria sia condivisa ha parlato soprattutto Salvi, che ha criticato coloro che non apprezzano i cambiamenti avvenuti, esemplificati, per il Procuratore, dall’immagine positiva di Bianco che, con la giunta, si reca alla lapide. Merlo non ha mai detto che La Sicilia è stata elemento di rinnovamento, ha definito ‘periodizzante’ l’omicidio e si è autocriticato per non avere, a suo tempo, accettato la richiesta di Fava di lavorare al Giornale del sud. Bianco non era fra i relatori. Come è ovvio le due scuole hanno invitato le autorità cittadine, hanno parlato il Sindaco e la Polimeni, erano presenti, ma non sono intervenuti, esponenti delle forze dell’ordine.
    In sostanza, con tutti i suoi limiti, il dibattito ha segnato un’occasione importante per la scuola e per la Città e se oggi nessuno contesta la natura mafiosa del delitto (pur mantenendo letture diverse e/o contrapposte sulla realtà) questa è una vittoria di chi si è schierato nei ‘tempi duri’, non una sconfitta.

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