Raccontano di case, cascine e castelli che erano abitati da assassini e hanno preso il nome delle loro vittime, Alessandra Coppola, giornalista del Corriere della Sera, e Ilaria Ramoni, avvocato esperto in legislazione antimafia, nel libro-inchiesta “Per il nostro bene”.
“Casa Caponnetto, confiscata ai nipoti di Riina e intitolata al magistrato che guidò il pool antimafia… il Museo della Legalità che è anche Bottega di Libera, nel cortile Coletti [a Corleone], bene recuperato dalla famiglia di Provenzano, a venti passi dalla casa in cui ancora oggi abitano i fratelli del boss”.
In maniera estremamente chiara e avvincente le autrici ci fanno capire perché, nonostante cifre da capogiro relative ai sequestri di beni mafiosi, la collettività ne trae un beneficio molto esiguo; analizzano i nodi irrisolti dell’attuale normativa per quel che riguarda il processo di riappropriazione, da parte della collettività, dei beni sequestrati: “C’è il pericolo di una clamorosa sconfitta collettiva. Abbiamo scritto questo libro per scongiurarla. Per il nostro bene”.
E lo fanno analizzando nel concreto le modalità che hanno portato al sequestro e al successivo utilizzo o inutilizzo di beni della criminalità organizzata di rilievo nazionale: dalla villa di Michele Zaza a Posillipo alla casa di Badalamenti a Cinisi; dalla tenuta di Michele Greco a Verbumcaudo, vicino Caltanissetta, all’hotel Sigonella Inn del faccendiere catanese Placido Aiello a Motta Sant’Anastasia.
Nel dicembre 2012 si contano oltre 10.000 immobili e quasi 2.000 aziende, ma è un patrimonio spesso non utilizzabile perché gravato da ipoteche, danneggiato, parzialmente occupato, indivisibile o avviato – questo vale per le imprese – alla liquidazione.
“I camorristi che sanno di essere sotto inchiesta spesso accendono un mutuo su case o terreni a rischio sequestro. Con un doppio vantaggio: ottengono una immediata disponibilità di soldi liquidi e piantano un ostacolo serio al riutilizzo del bene. Perché un ente locale, con le casse già prosciugate, dovrebbe farsi carico di un appartamento, di una palazzina, di un negozio per i quali deve continuare a pagare un mutuo che ha contratto il mafioso?”
“Il sequestro e la confisca sono atti burocratici concepiti nel chiuso di un’aula di tribunale. Raramente si confrontano con la realtà. E allora i campi possono essere assegnati per metà a una cooperativa, come nel caso di un limoneto a Partitico, nel Palermitano, e per l’altra metà essere ancora nella disponibilità dei mafiosi”.
Immobili che prima di essere lasciati vengono distrutti negli impianti elettrici, idraulici e di riscaldamento; case e terreni tagliati a metà, con obbligo di convivere con la famiglia dei vecchi proprietari; centinaia di ulivi secolari segati e portati via; amministrazioni comunali pavide se non complici dei mafiosi; banche tolleranti con i criminali e intransigenti con chi prende in consegna il bene; azione politica a singhiozzo come se mancasse una reale volontà di dare sostanza antimafia; mercato italiano che tende a non favorire le aziende pulite.
In appendice un excursus storico della normativa antimafia e di quella che aggredisce la componente economico finanziaria:
• la legge Rognoni-La Torre sulle misure di prevenzione a carattere patrimoniale e l’introduzione dell’art. 416 bis nel codice penale per associazione di tipo mafioso, approvate solo dopo la morte dell’onorevole La Torre e del generale Dalla Chiesa;
• la proposta di legge di iniziativa popolare sulla gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati approvata nel 1996, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio e a seguito della mobilitazione di Libera;
• l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per la destinazione dei beni sequestrati, solo nel 2010 e ancora priva di risorse e competenze adeguate per far fronte alla complessa gestione dei patrimoni affidati;
• dopo l’introduzione, nel 2011, del Codice Antimafia non sono più prevalenti le confische operate a conclusione dei tre gradi di giudizio, mentre le confische preventive diventano operanti da subito, con relativa destinazione e gestione del bene stesso, fatta salva la possibilità di revoca motivata;
Tante questioni ancora aperte e soprattutto tanti provvedimenti che dovrebbero essere assunti, ‘per il nostro bene’.
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