“Da Giulio Cesare in poi il nostro Paese ha visto un succedersi di uomini forti al governo, esperienze che si sono quasi sempre concluse con importanti movimenti di ribellione stroncati poi da nuovi cesarismi ancora più energici dei precedenti”. Così il regista Nicola Alberto Orofino, formatosi alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, che ha recentemente messo in scena, per conto di XXI in Scena, il “Giulio Cesare” di Shakespeare al Teatro del Canovaccio di Catania.
“Una volta la figura in questione è il papato -dice Orofino- un’altra i Savoia, poi Mussolini fino ai personaggi della nostra storia più recente”. Secondo Orofino, “Giulio Cesare è un senatore e valente guerriero romano che però non riesce a distinguere la vita politica da quella personale: il cesarismo che lui incarna è lo stesso che si è via via manifestato in uomini storici e politici sino ai nostri tempi, dove tutti conosciamo una persona che, come Cesare, si ritiene ‘una stella’ e tiene sotto scacco la politica italiana”.
Partendo da questi presupposti , il “Giulio Cesare” messo in scena da XXI in Scena, pur restando fedele alle parole di Shakespeare, introduce canzoni e scene che illustrano i cesarismi odierni. Anche i personaggi sono quelli di oggi, sebbene si esprimano con i versi del poeta inglese del 16° secolo.
Così il Cesare interpretato dall’attore Emanuele Puglia è un politico che entra in scena seguito da giornalisti e fotografi, mentre Bruto e gli altri congiurati sono donne, cortigiane di notte (salgono infatti sul palco vestite in modo succinto e si vestono sulla scena) e senatrici di giorno.
Queste attrici/congiurati si muovono con estrema leggerezza, tanto da trasformare spesso il dramma storico shakespeariano in una commedia musicale.
Non c’è leggerezza invece nelle riflessioni di Bruto che rispecchia fedelmente il personaggio voluto dall’autore, conflittuale e ambiguo, che uccide Cesare per evitare che manifesti un’anima dittatoriale in futuro e possa danneggiare lo Stato.
Ed è Shakespeare che fa dire a Bruto: “Pensiamo a Cesare come all’uovo di un serpente che, covato, diventerebbe per sua natura pericoloso e uccidiamolo nel guscio”. Bruto uccide quindi senza che Cesare gli abbia fornito le prove di abuso di potere, uccide solo perché affascinato da una sua “figurazione”.
Il regista collega questa visione di Bruto alla follia esaltata da Erasmo da Rotterdam , il quale sostiene che nei rapporti tra gli uomini entra appunto “il miele della follia”. E sarà questo il tema di tutta la rassegna teatrale del gruppo XXI in Scena di questa stagione.
Per descrivere Antonio ed Ottaviano il regista ritorna all’attuale cesarismo italiano, rappresentando queste figure storiche come due ragazzini che vivono in modo
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