Il volumetto di Antonino Leonardi,
Ma già la veste grafica, come sempre, nei libri editi da Maimone, curata ed elegante, ne svela l’ambizione maggiore che non è solo quella di fornire al turista un percorso di visita -non a caso concentrato in terza e quarta di copertina- ma di renderlo visitatore consapevole, capace cioè di leggere, al di là delle superfici luccicanti degli spazi e degli oggetti esposti, la storia, spesso travagliata, di chi li ha messi in opera e, soprattutto, li ha utilizzati nel corso dei secoli.
In questo senso è un libro che va letto prima di andare a vedere, perché solo così si potrà meglio com-prendere il senso della visita.
In esso Leonardi, che è stato il più stretto collaboratore dell’arch. De Carlo, autore del progetto-guida del recupero del Monastero, racconta come è venuto fuori, alla fine di un lungo, complesso e delicato lavoro di rimozione delle tante strutture e sovrastrutture che ne avevano deturpato e reso ormai irriconoscibile l’originaria fisionomia, uno degli ambienti più singolari di tutta la grande struttura.
Il Museo dunque è stato incentrato sugli spazi che sono stati oggetto di uno degli ultimi interventi di quella grande impresa. Esso fa perno sul restauro -per quanto i guasti e l’incuria hanno consentito- di quella che era stata la magnifica cucina del Convento dopo la ricostruzione settecentesca successiva al terremoto del 1693, ed è accessibile sia dall’interno, attraverso il varco del Grande Refettorio, ma più facilmente dall’esterno, dalla piazza Vaccarini.
In esso si intrecciano elementi naturali, come le lingue di lava che nel corso dell’eruzione dell’Etna del 1669 avevano lambito l’ala di nord-ovest della costruzione cinquecentesca, su cui poggiano le fondamenta della nuova costruzione, intervallate da strutture di servizio alla sovrastante cucina e da elementi che fanno memoria dell’Osservatorio astrofisico e del Laboratorio di geodinamica che sono stati allocati in quei locali dal 1890 al 1970 circa.
Questi ambienti, di per sé, costituiscono già il museo di se stessi, ma sono integrati da reperti e materiali da costruzione rinvenuti durante gli scavi e da alcuni strumenti provenienti dalle istituzioni scientifiche e dai laboratori del Regio Istituto Tecnico (poi Istituto commerciale intitolato a Carlo Gemmellaro) che hanno occupato questi ambienti dopo il loro passaggio alla Stato italiano.
Il recupero di una struttura ormai secolare, che nel tempo è stata destinata ad usi molto diversi e non sempre coerenti fra di loro, non può essere attuato infatti solo sulla base di criteri assolutamente filologici, per come cioè era stato pensato in origine, ma, assieme a questi, deve essere capace di far percepire, in una dimensione diacronica, gli usi successivi con cui, comunque, quello spazio è stato vissuto.
Solo alla fine del volume, come dicevamo, arriva la descrizione particolareggiata delle
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