Una cerca ancora le chiavi e rimpiange di non averle cambiate per tempo, prima che lui l’ammazzasse; un’altra, chissà dove, accoglie le altre compagne uccise dai maschi; la terza è stata soppressa a ceffoni la prima notte di nozze; c’è chi ha perso la vita per la barbara pratica dell’infibulazione ancora praticata in tanti paesi; e la studentessa uccisa perché aveva lasciato il suo ragazzo che dedicava tanto tempo a facebook e troppo poco a lei; una è stata lasciata viva ma lui per punirla le ha ucciso con un taglierino i figli che erano anche suoi “perché era una cosa che andava fatta”. Ancora una lei fatta a pezzi e lasciata nel congelatore. Ed una ragazza ammazzata in India su uno scuolabus perché osava studiare.
A dar voce e vita (sic) a queste vittime di femminicidio sono state, oltre a Serena Dandini, attrici come Guia Jelo, Vitalba Andrea, Nellina Laganà, ma anche due studentesse, Costanza Franzì del Principe Umberto e Flora Bertino del Vaccarini, l’avvocata Adriana Laudani dell’Udi di Catania, Angela Lombardo editor della Rizzoli, catanese che vive al Nord, Janine Bongiovanni nata in Congo ma residente a Catania dove fa parte anch’essa dell’Udi (ormai acronimo di Unione donne in Italia).
Moderatrice e intervistatrice in un minicolloquio/dibattito, l’insegnante José Calabrò, da tempo impegnata in battaglie a favore delle donne, secondo la quale il libro è caratterizzato da profondità e leggerezza.
L’incontro, voluto dall’Udi di Catania nell’ambito della campagna Stop Femminicidio e dal teatro Stabile per la rassegna Libri in scena, ha richiamato, dicevamo, tante donne. Alla fine erano tutte là – altra fila- al botteghino, libri in mano da fare firmare a Serena Dandini.
E’ anche qui, a Catania, il segno del successo indiscusso di “Ferite a morte” e dello spettacolo messo in scena in Sicilia solo a Palermo ed ora con un “bignami” anche a Catania, ma è anche la dimostrazione dell’attenzione che adesso, vivadio, si sta cominciando a porre sul tema del femminicidio. L’interesse per il libro e per la versione teatrale sta valicando i confini dell’Italia per approdare addirittura al palazzo di vetro delle Nazioni unite mentre il rettore della Scuola di polizia di Stato ha invitato Serena Dandini per un reeding.
Eppure in tutto il mondo ad occuparsi di questo problema sono le donne. Anche se, spesso, le vittime tacciono, coprono l’uomo, e tantomeno ricorrono alla denuncia. Serena Dandini non le accusa, le capisce. “E’ difficile denunciare il proprio compagno, l’uomo con il quale hai scelto di vivere, il padre dei tuoi figli. – dice- E’ come sparare sui propri sogni.”
Quel che bisogna fare è prevenire la violenza domestica, quotidiana, fisica e psicologica. “Attenzione – avverte la giovane Costanza Franzì- attenzione ai piccoli segni che troppo spesso non si colgono: il controllo del cellulare, i divieti ad andare alla festa senza di lui, le scenate di gelosia”.
Serena Dandini parla anche dei programmi televisivi che spesso uccidono le donne per la seconda volta, raccontando le loro storie senza rispetto e con troppa morbosità. “Sono tutte giovani. Delle più anziane uccise non si parla. E poi le chiamano per nome, Jara, Melania, Chiara. Come se non avessero un cognome!”
A conclusione rose per tutte, attrici e non, e una dedica: lo spettacolo è per Carmela
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Mi chiedo se quelle donne e ragazze, dopo aver trascorso la piacevole serata offerta dallo spettacolo di Serena Dandini, sapranno cosa fare se dovessero assistere a uno dei casi di violenza così bene rappresentato dai monologhi dei personaggi che si sono avvicendati sul palco. Non sapranno a chi rivolgersi per una denuncia, un consiglio, la ricerca di una soluzione. Ferite a morte è anche un progetto ed è anche un blog che raccoglie e diffonde notizie sul tema della violenza alle donne, informazioni sui centri di accoglienza. Queste semplici informazioni non sono state date né durante il dibattito (sic) alla fine del reading né dall’articolo pubblicato su Argo, che ha limitato la notizia alla recensione di uno spettacolo su tematiche sociali.