Estremamente attuali, in occasione
Vescovo di Molfetta (Bari), presidente della sezione italiana di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace, dal 1985 al 1993 (anno della sua morte), Tonino Bello ha elaborato, e praticato, una critica totale, ancor più che radicale, alla diffusione della violenza in tutte le sue forme.
E, in un’ottica di non violenza attiva, ha cercato di legare la centralità della pace (che non è solo assenza di guerra) alla concreta condivisione della vita di poveri ed emarginati, subendo molte, e certamente non disinteressate, critiche sia in ambienti religiosi che laici.
Senza mai recedere dalla convinzione che “alla chiesa incombe l’obbligo di levare la voce per indicare la strada di Gesù Cristo: dire che ogni apparato di guerra è una violenza profonda che corrode alle radici la logica del Vangelo”.
Nella consapevolezza che anche all’interno della stessa Chiesa il rifiuto della guerra non era/è generalizzato e che su tale questione, nella società, contraddizioni e comportamenti ambigui sono, purtroppo, ampiamente diffusi.
Non a caso, nel 1985, non rinunciò a denunciare il comportamento del governo italiano che, da un lato (con la legge 73) stanziava 1900 miliardi di lire per fronteggiare il problema della fame nel mondo, e dall’altro continuava a vendere armi ai “popoli affamati”.
Per modificare tutto ciò, perché figure come quella del vescovo salvadoregno Romero non rappresentassero più ‘l’eccezione’, Tonino Bello non si è mai stancato di ricordare l’importanza dell’educazione alla pace, perché innanzitutto i giovani possano diventare ‘pietre angolari’ della speranza.
Bisogna “essere coscienti che la pace è un’arte che si impara con un’educazione permanente, consapevoli che non bastano marce, cartelli e slogan ma necessitano studio e confronto, coscienza forte, capacità di soffrire. Non importa creare anime belle. E’ più importante creare forti coscienze capaci di farsi carico dei peccati del mondo”.
E bisogna essere consapevoli che non basta parlare genericamente di pace. Perché “nessuno è così spudoratamente perverso da dichiararsi amante della guerra. Ma la pace di una lobby di sfruttatori è la stessa perseguita dalle turbe degli oppressi? La pace delle multinazionali coincide con quella dei salariati sottocosto? La pace voluta dai dittatori si identifica con quella sognata dai perseguitati politici?”
Il rifiuto di guerra e violenza significa anche costruire una nuova ‘cittadinanza umana’ non più basata sullo ius sanguinis e/o sullo ius soli, ma su un nuovo diritto: lo ius dignitatis humanae.
Un nuovo approccio che Bello provò a far diventare realtà concreta contestando radicalmente , siamo nel 1991, il modo con cui il nostro Paese accolse i profughi albanesi che subirono un trattamento da ‘girone dantesco’. “Gli albanesi sono [costretti] nel perimetro ovale del campo di calcio, come i cileni, nel 1973, [dopo il colpo di stato di Pinochet, ndr] concentrati nell’estadio nacional di Santiago”.
A questo atteggiamento Bello contrappone la necessità di guardare ad uno ad uno quei volti, perché non si tratta di una folla anonima e bisogna sentirsi “madre di ciascuno di loro”.
Un riferimento, quest’ultimo alla nonviolenza delle donne, di genere diremmo oggi, che ricorda quando, negli anni ottanta all’interno della mobilitazione contro l’installazione degli euromissili a Comiso, in Sicilia, una parte del movimento femminista propose la parola d’ordine “da tutte le madri della terra nessun figlio per la guerra”.
E’ impossibile ricordare, scusate il termine, tutte le battaglie che hanno visto Tonino Bello, anche durante l’ultima fase della malattia, sempre in prima fila. Un impegno profuso in tutto il mondo, da Sarajevo (al tempo del conflitto all’interno dell’ormai ex Jugoslavia) al nostro Mezzogiorno, per liberarlo dal dominio mafioso.
Perché “il cristiano autentico è sempre un sovversivo; uno che va controcorrente non per posa ma perché sa che il vangelo non è omologabile alla mentalità corrente. E verranno i
Guarda il video con stralci di interventi di don Tonino Bello
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