Aperta l’udienza, infatti, i due imputati, Vincenzo Pisano e Marcello Campisi, hanno subito chiesto la parola e si sono dichiarati colpevoli e corresponsabili dell’omicidio di Pierantonio così come deposto dal collaboratore di giustizia Giuliano Chiavetta.
Quest’ultimo si era già accusato del delitto chiamando a correi altri tre giovani, tra cui i due suddetti imputati e Salvatore Cancilleri, all’epoca minorenne, per il quale è in corso il processo di appello.
Nell’ascoltare la confessione di Pisano e Campisi, tutti i volontari di Libera hanno vissuto un momento di intensa emozione. Si stava facendo ‘verità’ sulla fine assurda di una vittima innocente, un giovane onesto, del tutto estraneo ai giochi della criminalità organizzata, messo a tacere per il timore che andasse a denunciare alla Polizia l’illegalità di cui era stato spettatore.
Si realizzava l’evento atteso dalla mamma di Pierantonio,
La forza del suo messaggio stava proprio nella concretezza dolorosa della sua esperienza, nel suo invito alla dignità e alla forza d’animo, necessarie per combattere la mafia, non quella astratta che vive solo sulle bocche dei conferenzieri, ma quella reale che le aveva ucciso il figlio e che continua a corrompere i giovani con il fascino del denaro e del potere, chiedendo loro di rinunciare ai più elementari principi morali.
Pisano e Campisi, maggiorenni all’epoca dei fatti, hanno dichiarato di essere allora “giovani immaturi e sotto effetto di droghe e alcol” e hanno chiesto il perdono ai familiari della vittima e a tutta l’opinione pubblica.
Non è escluso che abbiano reso questa confessione per calcolo, essendo ormai alle strette e nella speranza di usufruire dei benefici previsti dalla legge.
Gli avvocati difensori, dal canto loro, hanno ripercorso i fatti insistendo sul carattere involontario dell’omicidio, avendo i giovani portato Pierantoio Sandri in quel luogo isolato solo per interrogarlo e accertarsi se avesse visto o meno il quarto giovane del gruppo, Cancilleri, nell’atto di incendiare una vettura.
L’avvocato difensore di Campisi ha inoltre negato l’esistenza di un gruppo mafioso -di cui i ragazzi avrebbero fatto parte- capitanato proprio dallo zio di Campisi, Alfredo, intenzionato a scalzare il capomafia dominante in quegli anni a Niscemi.
Il legame con la mafia era, invece, già emerso dalle dichiarazioni di Chiavetta, primo dei quattro a pentirsi, dopo aver ascoltato gli accorati appelli di Ninetta. E su questa lettura dei fatti ha impostato la sua requisitoria il Pubblico Ministero, che ha chiesto -di conseguenza- l’applicazione dell’art.7 della L.203/91, cioè l’aggravante per motivi mafiosi.
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Considerando anche le attenuanti generiche, vista la confessione spontanea appena avvenuta, le richieste del PM sono state di 14 anni per Campisi (arrestato lo scorso febbraio) e di 16 per Pisano (già detenuto per altri crimini).
Nel corso dell’udienza è intervenuta anche Enza Rando, avvocata del fratello di Ninetta (unico parente diretto di Pierantonio rimasto in vita dopo al morte di Ninetta avvenuta nel novembre del 2011) e di Libera, costituitisi parti civili nella precedente udienza.
Rando si è soffermata sulla tragedia delle cinque giovani vite bruciate in questa vicenda e si è augurata che la confessione resa dagli imputati sia sincera e tale da favorire un percorso di rinascita e l’inizio di una nuova storia per i colpevoli di questo triste omicidio, perchè “si può pagare e si può ricominciare”.
Ha poi chiesto una condanna che sia da esempio contro l’indifferenza e l’omertà che alimentano profondamente il fenomeno mafioso e ha sollecitato un risarcimento di 500.000 euro per la famiglia di Pierantonio e di 200.000 per Libera, da destinare a progetti di educazione alla legalità
Ha evidenziato, infatti, che Libera è entrata come parte civile nel processo perchè, oltre al lavoro di sostegno ai parenti delle vittime delle mafie, opera attivamente nel settore della formazione dei giovani per dare un’alternativa a tanti che -come gli stessi imputati- commettono reati spesso senza saperne il perchè, eseguendo gli ordini di
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