Due ricercatori dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia sulle tracce di un’eruzione, quella terribile del 1663 che sconvolse il fianco meridionale dell’Etna e la stessa Catania. Sono Raffaele Azzaro e Viviana Castelli che con i sassi e con le carte, hanno riportato in vita il ribollire del magma, la devastazione del territorio, il terrore delle popolazioni con i resti degli edifici perduti e i racconti dei testimoni e di coloro che li raccolsero e li diffusero. Col libro, che si intitola “L’eruzione etnea del 1669 nelle relazioni giornalistiche contemporanee” ed è edito dall’INGV e da Le nove muse editrice, viene recuperato “un gruppo di testimonianze originali mai considerate prima nella loro integrità”.
“…chi potrà mai raffigurarsi un fiume di materia densissima, che in sostanza non è altro che pietra ferrea liquefatta, di altezza di dieci, venti, trenta, sessanta e più palmi e di larghezza di sei, dieci, dodeci e più miglia; e questo andar girando con lasciar dovunque passa montagne di sassi, ricuoprendo città e terre e buttando giù palaggi e torri; a cui non vi ha riparo che possa resistere, né argine sì gagliardo che l’impedisca , né acqua che lo smorzi anzi che più l’accende; il quale, dove una volta mette il piè, vi vogliono secoli fin che vi nasca un suol fil di erba o per picciolo che sia ramoscello”. Siamo nel 600 e così scriveva uno degli antesignani del giornalismo che la dottoressa Castelli ci ha fatto conoscere nel corso della presentazione del volume, avvenuta nell’aula magna dell’Università di Catania, alla presenza del rettore dell’università Giacomo Pignataro, del presidente dell’INGV Stefano Gresta e del direttore dell’osservatorio etneo-Catania, Eugenio Privitera.
Quello dell’informazione sull’eruzione fu – diremmo oggi- un “fenomeno mediatico internazionale” che poté prendere corpo attraverso lettere e gazzette (simili ai nostri giornali), scritte e inviate da scienziati e studiosi ma anche da semplici “curiosi per professione” cioè giornalisti. Si crearono da una parte reti di informatori e dall’altra consumatori non sempre e non solo ricchi e sfaccendati. Inseguendo le fonti,Viviana Castelli si è imbattuta così in una relazione che, stampata a Catania per ordine del Senato e del vescovo della città, arrivando in Toscana ha perso il lessico siciliano per assumere quello fiorentino.
Mentre un altro ricercatore dell’INGV, Stefano Branca, ha parlato nel suo intervento dell’eruzione del 69 nella vulcanologia moderna, Raffaele Azzaro, ci ha presentato l’eruzione nella ricostruzione delle fonti originali, un percorso attraverso la riscoperta degli eventi e del territorio. “Il corso della lava pur copioso e ramificato non ha sempre distrutto tutto – ha detto Azzaro – ma ha lasciato intatti alcuni vecchi insediamenti”.
Queste enclavi graziate dalla furia del magma e scampate, evidentemente, anche al terremoto catastrofico del 1693, sono ancora lì. Sono il Santuario della Madonna della Sciara di Mompilieri, la Chiesa della Madonna della Grazie di Misterbianco vecchio, la chiesa rurale della Madonna del soccorso di Botteghelle.
C’è di che incuriosire, di che interessare, di che volerne sapere di più. E’ quello che Argo si propone di fare tra qualche giorno. Oggi intanto ecco questo breve resoconto della presentazione del libro. Successivamente ci torneremo approfondendo l’argomento con una recensione. E se a qualcuno ancora non basterà, potrà sempre andare alla fonte e leggere “L’eruzione etnea del 1669 nelle relazioni giornalistiche contemporanee” .
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