Una ragazza, Agata Annino, che prende gradualmente coscienza che i ‘veleni’ respirati nel laboratorio di Farmacia in cui sta preparando la tesi di dottorato possono essere la causa del tumore al cervello che la sta uccidendo, come era già avvenuto anche per Emanuele Patanè e per altri colleghi.
Una famiglia incredula, che si rassegnerebbe al male e alla morte se fossero da attribuire al caso e viene sconvolta dalla possibilità che siano stati generati da una “Istituzione grande e rinomata come la nostra storica Università”.
Un processo in corso che va avanti a rilento (l’ultimo ritardo è stato determinato dallo sciopero degli avvocati penalisti che ha comportato un rinvio della requisitoria del pubblico ministero) e che riguarda comunque l’inquinamento ambientale e non l’omicidio colposo.
Un quotidiano, La Sicilia, che sull’argomento mantiene un complice silenzio o dice ben poco.
Questi alcuni degli elementi che si intrecciano in una vicenda dolorosa e inquietante su cui non solo la città ma tutta la comunità civile e scientifica nazionale deve continuare a riflettere.
Riprendiamo oggi la lettera inviata al direttore de La Sicilia dalla madre di Agata in data 21 giugno 2011, mai pubblicata dal giornale e pubblicata sul sito del film Con il fiato sospeso
Egregio Direttore,
Sono la mamma della Dr.ssa Agata Annino, la capolista di quella serie di nomi di persone che hanno lavorato all’interno della Facoltà di Farmacia dell’Università di Catania ed hanno accusato patologie tumorali o sono decedute a causa di dette patologie, come è il caso della mia Agata che proprio all’inizio di questo mese di Giugno, esattamente il 3, ha compiuto sei anni dalla sua morte.
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Perché le scrivo?
La mia se vogliamo è una lettera di sfogo perché sono otto anni, sei dalla sua morte e due di malattia, che piango in silenzio e cerco di sopravvivere, e con me i miei familiari, all’immane dolore che la perdita di una figlia, o di una sorella, comporta. Una figlia che tu stessa hai dovuto accompagnare ad affrontare in piena lucidità il trapasso quando era ancora nel pieno del suo vigore.
Agata aveva 30 anni quando abbiamo scoperto pochi giorni prima degli esami finali di dottorato (dopo un terribile mal di testa che non passava più) che aveva un tumore cerebrale di quelli che non perdonano. Era il 23 febbraio del 2003, ha festeggiato i suoi 30 anni dopo due interventi chirurgici il 2 maggio dello stesso anno. Costretta a saltare la sessione di esami del suo ciclo di dottorato, ha voluto poi caparbiamente sostenere gli esami finali l’anno successivo, interrompendo per pochi giorni le cure di radioterapia a cui era sottoposta a Milano.
Era una ragazza piena di vita, niente la stancava mai, amava il suo lavoro di ricerca in quel laboratorio che adesso io definisco maledetto ma che per qualche tempo non riuscivo ad odiare sia perché ricordavo con quanta passione, dedizione e allegria lei lo frequentava e sia perché mi rifiutavo di credere che potesse essere vero quello che, dopo la morte di mia figlia, si andava dicendo sull’incuria e sulla leggerezza con cui si gestivano e si smaltivano all’interno di quei laboratori prodotti chimici che invece necessitano della massima cura ed attenzione perché altamente nocivi alla salute.
Sono una persona dignitosa che ha svolto sempre il suo lavoro di docente in un Istituto Superiore di Catania ed ha sentito sempre la sua responsabilità nei confronti dei ragazzi che le famiglie affidano all’istituzione scolastica, ho vegliato sempre sulla loro incolumità, perché il diritto alla salute è un diritto primario ed inalienabile.
Per questo non volevo credere, mi veniva difficile pensare che un’Istituzione grande e rinomata come la nostra storica Università avesse potuto trascurare a tal punto la sicurezza di qui luoghi di lavoro a danno del proprio personale. Pensavo: “E’ l’ennesimo scandalo italiano, i giornalisti sono sempre alla ricerca della notizia che fa scalpore!” Lentamente io, mio marito, gli altri due figli abbiamo voluto dare una ragione logica alla morte di Agata: purtroppo la morte, le malattie nella vita di ognuno sono sempre in agguato e ci possono cogliere in qualsiasi momento anche a 32 anni, nel pieno vigore degli anni.
Stavamo così trovando un po’ di equilibrio per continuare a vivere quando è scoppiato lo scandalo della chiusura dei locali della Facoltà di Farmacia, e allora per noi tutto si è messo di nuovo in discussione: si può accettare in silenzio la morte di tua figlia, quando un tarlo ti rode il cervello dicendoti che forse te l’hanno ammazzata, quella figlia? No, non si può!
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Egregio Direttore, torno al motivo di questa mia lettera. E’ fortemente doloroso rendersi conto che in fondo nel nostro mondo, nella nostra società, qui nella nostra città non si vuole che le cose cambino perché altrimenti una vicenda come questa troverebbe il giusto spazio nei mezzi d’informazione e quindi anche nel suo giornale, se solo si avesse a cuore il bene della nostra terra e dei suoi amati figli, nobili e generosi come i nostri ragazzi che con il Dottorato di Ricerca si sono giocati la vita.
Lei sa, perché ha pubblicato la notizia qualche tempo fa, che l’indagine probatoria si è chiusa e che giorno 8 Luglio ci sarà l’udienza preliminare per il rinvio a giudizio di 13 responsabili all’interno dell’Ateneo catanese per i reati di disastro ambientale, violazione delle norme di sicurezza, falso.
Come mai tanto silenzio da parte vostra e di altra stampa ad una notizia così clamorosa? Vogliamo ancora salvare il “buon nome” della nostra Università, come hanno sempre fatto i signori di là dentro? Svegliamoci, il “buon nome” si salva con un lavoro onesto, dignitoso e rispettoso della legalità.
La ringrazio per la pazienza ed il tempo che mi ha dedicato, nell’attesa di leggera la mia lettera sul suo giornale e possibilmente di tanto in tanto qualche articolo per ricordare ai catanesi, e non solo, che chi gioca con la vita delle persone non può e non deve sperare di uscirne indenne.
Noi eravamo una famiglia felice dei nostri tre figli, due laureate, il terzo si avviava alla laurea, sognavano un futuro sereno e invece per noi non c’è più cosa o avvenimento che ci possa dare mai una gioia piena.
Catania, 21 giugno 2011
Cordiali saluti e di nuovo grazie
Prof.ssa Maria Lopes, la mamma di Agata
Una lettera bella, forte, commovente e drammatica, complessivamente civile e garbata, di una mamma che ha tragicamente perso la figlia negli anni più belli.
Incredibile che si sia ”dispersa” nei cassetti di un giornale, privando i cittadini, della delicatezza educativa derivante dalla lettura del testo e della passione civile sgorgante sulla conseguente riflessione.
Le vicende consumatosi nella Facoltà di Farmacia sono ormai diventate dominio di conoscenza a livello nazionale, grazie anche, in particolare, al film “ Con il fiato sospeso” che ha saputo tradurre nel dolce linguaggio umano le drammatiche “tecniche” vicende che sono al giudizio del Tribunale.
Il grido di dolore che fuoriesce dalla lettera spezza le coscienze dei lettori.
E’ auspicabile che le parole della mamma di Agata Annino trovino adeguate maniere per “volare” tra la gente.
ma le procure della Repubblica cosa fanno? Dormono? Come mai i politici italiani di sinistra predicano il rispetto per la magistratura? Come si può rispettare un corpo di funzionari , obbligato per legge ad applicare le leggi vigenti in un determinato momento storico,che ignorano il proprio dovere e trascurano di tutelare la vita dei consociati? Cosa f annoi i tanti procuratori che lindi e lustri passano da un tavolo e l’altro per vantare le glorie di tanti schelestri coperti dai manti rossi con colletti di ermellino? Rimango stupita della stupidità con la sinistra italica, dopo aver odiato lo stato capitalista e lottato per i diritti dei terroristi ,mostri tanto rispetto per chi non tutela la vita di quanti sono costretti a studiare in ambienti malsanoi e pieni di veleni. Bisogna cacciare dal posto di lavoro quanti non sanno fare il proprio dovere e preferiscono saltare da un tavolo all’altro per predicare sulla ” legalità” e cioè sul mancato rispetto di norme che dovrebbero tutelare la salute di quanti lottano per studiare ed inseguire il progresso tecnologico.