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Don Pino Puglisi, 'beato tra i mafiosi'

Un prete scomodo, anche adesso he è stato proclamato beato. Così viene ricostruita la figura di don Pino Puglisi nel libro “Beato tra i mafiosi“, edito da De Geronimo, presentato giovedì scorso alla Feltrinelli, a ridosso del ventesimo anniversario della morte del prete palermitano. Ha seguito l’evento per noi Cettina Scopazzo, sempre interessata ai fermenti vivi presenti nella Chiesa.
Mandato nella parrocchia di san Gaetano come ‘pompiere’, per placare l’atmosfera rovente creata da un parroco in odore di comunismo, Don Pino Puglisi non si rivelò il prete accomodante e conservatore che i suoi superiori credevano. Non apparteneva ai ‘funzionari’ di Dio, era uno che credeva nel Vangelo e agiva di conseguenza. E tanto bastò a farlo uccidere dalla mafia.
Così Augusto Cavadi nella presentazione del testo di cui è coautore insieme a Rosaria Cascio e Francesco Palazzo, “Beato tra i mafiosi”, recentemente presentato alla Feltrinelli. Ucciso il 15 settembre del 1993, padre Puglisi è stato beatificato solo nel maggio di quest’anno, divenendo il primo prete martire della mafia.
La vita e la morte di questo uomo non appariscente, parroco di un quartiere difficile, Brancaccio, controllato dai fratelli Graviano, hanno messo in crisi la Chiesa ancor prima che la politica.

Non è un caso che non sia stato considerato subito un martire cristiano, sarebbe stato scomodo farne un esempio da imitare ed era più semplice considerarlo imprudente e quindi in un certo senso responsabile della propria eliminazione.
Come ha sottolineato nel suo intervento Francesco Coniglione, è errato considerare don Pino Puglisi un prete anti-mafia nel senso comune. Non amava, infatti, urlare nei cortei o inveire, non era mai “contro”, cercava sempre il dialogo, si recava nelle carceri e parlava con le mogli dei mafiosi.
Rifiutava tuttavia qualsiasi compromesso, sia con la mafia sia con la politica, spesso intrecciate tra loro, e desiderava una comunità civile-cristiana che si aprisse ai bisogni del quartiere, al quale voleva che venissero concessi i diritti primari, ad esempio una Scuola media e un Centro sanitario di base.
Lo dimostra l’episodio in cui un senatore, ben quotato tra i mafiosi, essendo intervenuto -non invitato- ad una cerimonia religiosa per bambini portando loro dei doni, fu così interpellato da don Puglisi: “Perchè portate dei regali ai bambini e non realizzate per loro scuole e centri sanitari?”.
Ma le sue semplici richieste trovavano un muro nella politica e ovviamente nella mafia, che accettava solo un “cristianesimo municipale”, una religione che si esaurisse nei riti, nelle processioni, in qualche gesto caritatevole.
Come ha ricordato Francesco Palazzi, don Puglisi contava molto su quelle piccole comunità che erano le unioni condominiali e sul Centro “Padre nostro” che aveva fondato per accogliere ragazzi tolti alla strada e alla manovalanza mafiosa.
Venti anni addietro fu lasciato solo dalla comunità ecclesiale e anche adesso, dopo la morte e la beatificazione, la sua figura rimane chiusa in una nicchia, perchè non c’è vocazione per quel tipo di martirio.

Argo

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