Quando muore nostro padre, a qualunque età questo ci accada, ci sentiamo di nuovo bambini, indifesi, sgomenti, ci chiediamo se abbiamo fatto onore ai suoi amorosi insegnamenti…
Quando muore un maestro, questi sentimenti si moltiplicano nella comunità con la quale abbiamo condiviso i magici giorni della nostra formazione: la costruzione delle fondamenta delle persone che siamo oggi, nella società civile.
Oggi, sebbene siamo tutti coscienti del fatto che essa faccia inesorabilmente parte della vita, si parla poco e male della morte, si pensa solo ad esorcizzarne la paura, se ne evitano i rituali.
Io, nel dolore di questi giorni, mi sono sentita profondamente grata per le cose meravigliose che mi aveva fatto conoscere, e infinitamente fortunata di poter condividere i miei sentimenti con i miei compagni.
Lamberto arrivò al Teatro Stabile di Catania, in un momento di transizione. I grandissimi attori c’erano già: Turi Ferro, la famiglia Carrara, Umberto Spadaro, Tuccio Musumeci, capitanati da quel genio di Mario Giusti (l’unico grande direttore artistico che ho visto partecipare con “tracotante affetto” a tutte le fasi di preparazione degli spettacoli!), inoltre, affascinati dalla bravura di un’ardente e giovane Mariella Lo Giudice, una nuovissima leva, formata da attori e tecnici (allievi dei loro stessi padri e fratelli maggiori), si affacciava alla ribalta.
Lamberto si mostrò subito disponibile, interessato, generoso.
Veniva dal Piccolo di Milano, era abituato a grandi mezzi, grandi professionalità, una progettualità scandita da grandi eventi in una grande città, eppure, questo vulcano di sogni e d’amore, questo teatro ricolmo di talenti “naturali”, gli entrò subito nel cuore.
Nessuno qui, era abituato alle sue prove, che duravano senza pause per sette ore filate. Sette ore di una affascinante densità, di una consistente fatica, di una laboriosa ricerca. Con lui, si viaggiava su canoni sconosciuti: una specie di università di tutti i saperi!
Andavamo a cena con lui, dopo le prove, per poter continuare ad ascoltarlo.
Lamberto, davanti alla sete di sapere, non si negava mai, era come se non conoscesse stanchezza. Le sue disquisizioni, non erano lezioni paludate: era ogni volta uno stimolo, una giovanile partita a tennis fra amici.
Non stava sul monte inaccessibile a regalare il Verbo. Lui aveva sempre lavorato e sempre studiato, continuava a porsi domande, era inquieto e gioioso, sempre appassionato.
Come recita il vecchio adagio di Mao, preferiva insegnare a pescare, piuttosto che regalare pesci.
Questo fanno i maestri: non farciscono polli vuoti, riescono a vedere negli allievi, gli uomini e le donne che potranno diventare. Li aiutano ad usare perfino i loro limiti, quelli che pensano siano i loro difetti, come strumenti unici e personalissimi di conquista dei desideri.
Lamberto è vivo nella sapienza piena d’amore che ha fatto fiorire in tutti noi,
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Pugelli, l’eccezione che conferma la triste regola tutta catanese della mancanza di regole, quelle che permettano e promuovano cultura ed arte per prime .
Brava Alessandra...diretta al cuore
Grazie ad Alessandra Costanzo,per il ricordo di un amico e collega col quale ho lavorato e vissuto da Spoleto al Piccolo di Milano,per anni. Lui e Marisa,vorrei aprire il sipario del destino, per rivederli e riabbracciarli. Grazie ancora.