Sovraffollato e fatiscente, questo nell’opinione pubblica è il carcere di piazza Lanza. Ma le cose stanno proprio così?
Per conoscere quale sia l’attuale situazione della casa circondariale, abbiamo posto alcune domande ad Elisabetta Zito, che la dirige dal 2011 dopo aver svolto per anni il ruolo di vicedirettora. “Il carcere è ancora sovraffollato, anche se sempre meno. -ci dice- Fatiscente non più”.
La struttura
Della struttura originaria, risalente al 1910, non è rimasto più niente se non il terzo braccio, da tempo chiuso, di cui sono stati già appaltati i lavori di ristrutturazione. Del reparto di isolamento, il famigerato, cadente, Nicito, sono in corso i lavori di rifacimento, che saranno ultimati in primavera con la consegna di stanze fornite di bagno e doccia, gli stessi servizi che ormai hanno tutte le camere.
Le stanze riservate alle donne, che sono poche e occupano il padiglione Etna, ristrutturato nel 2007, hanno anche il bidet così come prevede il regolamento.
Gli altri padiglioni, il Simeto (2000), l’Amenano (2004), il Troina (inaugurato nel maggio 2013 e che attualmente ospita anche l’isolamento) sono stati tutti ristrutturati. Anche il muro esterno è stato integralmente rifatto nel 2009, in seguito ad un’ordinanza del sindaco per minaccia alla pubblica incolumità dopo la caduta di alcune pietre.
Il ministero delle Infrastrutture e, di recente, quello della Giustizia hanno quindi speso cifre notevoli in questo carcere, tanto da cambiarne notevolmente la vivibilità.
Ecco perchè non possiamo non chiederci se ci sia qualcuno che abbia interesse a fare apparire la struttura peggiore di quanto non sia, magari per prospettare come risolutivo il suo svuotamento e lo spostamento in altre sede e dare avvio ad una speculazione edilizia molto conveniente data la centralità della location.
Se pensiamo che, a piazza Lanza, è previsto anche un parcheggio interrato, per la cui costruzione il carcere è un ostacolo, crescerà il dubbio che il progetto di trasferimento non sia proprio disinteressato…
Ma questa è una nostra idea. Su un eventuale spostamento del carcere Elisabetta Zito, che coniuga la cordialità con una professionalità impeccabile, non si esprime.
Non nasconde invece i problemi legati al sovraffollamento.
Il sovraffollamento
Le camere, pur essendo ormai fornite di servizi, sono occupate da 7-8 persone mentre dovrebbero ospitarne 4, “e questo non può non influire sulla qualità della vita dei detenuti”.
La ristrutturazione in corso e quella appena appaltata potrebbero essere la risposta al problema, “sempre che i numeri rimangano quelli attuali” soggiunge Zito. Il numero dei reclusi è infatti sempre fluido, come accade in questa tipologia di carcere, che ospita per lo più detenuti in attesa di giudizio (i ¾ degli ospiti).
Al momento attuale si registra una diminuzione degli ingressi e gli ospiti sono 480, contro i 600 toccati in precedenza.
Il calo è dovuto in parte all‘eliminazione delle ‘porte girevoli’, il fenomeno caratterizzato dall’ingresso in carcere per pochi giorni di autori di reato che non venivano poi condannati alla reclusione.
Chi vien colto in flagrante, e viene giudicato per direttissima nell’arco di due o tre giorni, non entra più in carcere ma viene trattenuto nelle camere di sicurezza di polizia e carabinieri. Oltre alla riduzione del numero di ingressi, la casa circondariale risparmia soldi e può destinare ad altri compiti il personale che veniva utilizzato per le complesse operazioni previste dal regolamento per chi varca la soglia del carcere.
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Ma non è solo l’eliminazione delle porte girevoli a generale la riduzione degli ingressi, un dato di fatto che non ha una spiegazione univoca. Certamente non sono diminuiti i comportamenti illegali, potrebbero invece essere diminuite le operazioni di polizia (e noi malignamente pensiamo alle ridotte risorse destinate alle forze dell’ordine) e soprattutto si registra un minore ricorso alla custodia cautelare in carcere.
I colloqui con i parenti
Le risorse economiche sempre minori di cui il carcere dispone non implicano necessariamente un peggioramento delle condizioni di vita degli ospiti di piazza Lanza.
Un esempio di come una migliore organizzazione, e il coinvolgimento del personale nella scelta delle soluzioni, possa fare miracoli ci viene dalla risposta data da Zito e dai suoi collaboratori all’annoso problema delle lunghe code, anche notturne, che si creavano per accedere ai colloqui con i reclusi.
Oggi i parenti prenotano il colloquio con una telefonata ad un numero ‘dedicato’ (non un numero verde, perchè non ci sono i soldi per finanziarlo) e possono concordare l’orario più adatto ad ogni situazione familiare e lavorativa, evitando, per esempio, come accadeva in passato “che i bambini perdano la scuola per vedere il padre. L’istituzione -sottolinea Zito- deve danneggiare il meno possibile i bambini”.
Il sistema delle prenotazioni, che possono essere fatte anche dai detenuti o dai loro avvocati, ha permesso anche di eliminare i tempi morti e di evitare il rischio, ipotizzato ma molto concreto, di una gestione illegale delle file di attesa.
Le stanze destinate ai colloqui sono state completamente ristrutturate. “Non c’è più il bancone che separava il detenuto dai familiari. Adesso ci sono tavoli rotondi con sgabelli attorno (stile bar) che permettono un incontro ravvicinato”. Lo prevede il regolamento, ribadisce la direttora, ma in queste camere c’è qualcosa di più.
Alle pareti sono state collocate delle tavole dipinte su temi scelti in funzione dei bambini che vengono in visita. Abbiamo la stanza delle farfalle e quella delle principesse, in cui sono raffigurate le protagoniste delle fiabe più conosciute, e quadri a colori vivaci anche lungo il corridoio che conduce al colloquio.
Gli autori dei quadri sono gli alunni del liceo artistico Emilio Greco, che hanno partecipato ad un progetto sulla legalità (di cui intendiamo occuparci in un articolo successivo), hanno incontrato i detenuti e hanno dipinto un quadro anche per la stanza della direttora…
Le attività
Elisabetta Zito sa bene che svolgere delle attività è fondamentale perchè si realizzi la funzione rieducativa della pena, ma “purtroppo non riusciamo a ‘muovere’ se non una parte dei nostri ospiti, 250, al massimo 280” ci dice con rammarico “Abbiamo inoltre il problema degli spazi”.
Nel concreto, innanzi tutto c’è la scuola, quattro classi di scuola elementare e otto classi di scuola media (di queste si è ottenuto a fatica il raddoppio da parte dell’Ufficio Scolastico), che impegna circa 120 ospiti inadempienti all’obbligo scolastico, piaga diffusa insieme all’analfabetismo di ritorno.
Altra attività è il lavoro, che si svolge all’interno della struttura e consiste soprattutto nella pulizia degli spazi comuni. E’ un lavoro retribuito, con un contratto che include assegni familiari, ferie, malattie e infortuni, disoccupazione.
Quasi tutti i reclusi vorrebbero farlo ma i fondi con cui pagare quella che tecnicamente si chiama la ‘mercede’ sono molto limitati. Ecco perchè, scherza la direttora, abbiamo dovuto ‘inventare’ la precarietà e il part-time. I contratti vengono fatti per un numero ridotto di ore e per alcuni mesi, permettendo che, a rotazione, chi lo richiede possa lavorare.
E il lavoro all’esterno? chiediamo. “Non è previsto. Manca lo spazio per realizzare il reparto speciale destinato a chi dovesse uscire dal carcere e inoltre -nella nostra situazione- è molto difficile che si trovino datori di lavoro disponibili ad offrire occupazione ad un detenuto”.
Ci sono invece i corsi professionali, finanziati con fondi europei o regionali. “Ecco perchè il taglio della formazione professionale in corso alla Regione ci preoccupa; minaccia di coinvolgere anche l’istituzione carceraria in cui questi corsi hanno un ruolo fondamentale” (la stessa preoccupazione manifestata dalla direttora dell’IPM).
A conferma di come possano dare ottimi risultati, Zito ci racconta di come un corso di informatica abbia prodotto un programma di gestione della biblioteca, organizzata nel carcere da volontari esterni. Docenti e alunni del corso hanno preparato anche un manuale di utilizzo del programma (Manuale d’uso ‘Bibliolanza’) e hanno poi ‘formato’ i volontari. I detenuti si sono così trasformati in formatori!
Un aiuto importante per l’organizzazione di attività proprio dal volontariato.
Sono attualmente presenti diversi volontari, tra cui quelli del Centro Astalli, che hanno iniziato occupandosi dei detenuti stranieri e hanno via via adottato gli ‘ultimi’ tra gli italiani, e quelli della ‘Cappellania‘ che ruotano attorno al cappellano e hanno varia provenienza. Differenti anche le attività proposte, dal corso di liuteria a quelli di taglio e cucito.
L’invito non è esplicito ma ci rendiamo conto che Elisabetta Zito sarebbe ben contenta di accogliere (ed eventualmente aiutare a fornulare un progetto) chiunque volesse dare una mano.
“Il carcere non è un organismo separato dalla società, e quest’ultima non può e non deve distogliere gli occhi da una realtà nei confronti della quale siamo tutti responsabili” conclude Zito.
Non riesco a capire come la sig.ra Elisabetta Zito possa vivere felicemente trascorrenbdo le sue giornate a contatto con i carcerati. Se solo si capisse la tragedia che l’uomo comune vive al cospetto di chi per avere errato deve trascorrere periodi di vita da recluso , si proverebbe orrore per il lavoro dei guardiani del…. carcere.
Per quanto concerne Piazza Lanza vorrei lanciare un grido di allarme ed un aiuto a Legambiente ed alle associazioni ambientaliste per evitare che si perfezioni un truce disegno che i predoni della città, con l’aiuto di funzionari ministeriali vorrebbero condurre in porto e cioè un clssico e risaputo project-financing che consenta di trasferire l’attuale carcere a Bicocca con tutte le strutture giudiziarie di supporto e la realizzazione , in cambio e compensazione, di un edificio per civile abiotazione di venti e più piani proprio sull’area dell’attuale carcere. Attenti quindi al disegno perverso che nutrono alcuni grossi finanzieri della città che pur vendendo catene e ferramenta al minuto riescono a realizzare disegni di grandiosi insediamenti urbanistici alle spalle di una città intasata come un formichiere.
Se da una parte non è pensabile che i carcerati debbano vivere come animali, dall’altra bisogna valutare cosa accadrebbe se costoro tornassero in libertà.
Nessuno ha imposto loro di delinquere per poi ritrovarsi condannati.
La Signora Zito suppongo non viva felicemente, ma in una condizione di distacco come se fosse anestetizzata dinanzi ad una condizione di estremo disagio.
Non condivido l’attuazione del trasferimento dei carcerati in zona Bicocca in quanto determinerebbe enormi spese a favore di coloro che andrebbero a finanziare lavori relativi necessari, anzi indispensabili, per poi proseguire – come sottolinea giustamente Lina Arena – con nuove costruzioni in città …
Bellissimo articolo. A tratti commovente.
Le parole delle dott.ssa Zito non possono che essere apprezzate e condivise. Certe idee sulle istituzioni – carcere compreso – sono spesso finalizzate a motivi diversi da quelli che appaiono, e il lavoro difficile e nonostante cio’ pregevole che viene fatto a Piazza Lanza e a Bicocca resta per lo piu’ ignorato (a parte le pitture sui muri esterni)
Il Corso di Laurea magistrale in Psicologia e’ da tempo disponibile a mandare propri tirocinanti sia durante il corso di studi che nell’anno di praticantato post-lauream: un modo per far crescere la coscienza civile oltre che la pratica professionale dei futuri psicologi, ma anche per ‘dare una mano’ concreta al lavoro che viene svolto in carcere con poco personale e con grande sacrificio. Spero che questa prassi, compatibilmente con i vincoli burocratici, possa essere incrementata e migliorata.