Oggi non è facile per nessuno trovare lavoro, è quindi oltremodo difficile per chi non ha completato neanche l’obbligo scolastico, non ha “imparato un mestiere”, non ha familiari che possano essergli di esempio e intravede solo nell’illegalità la possibilità di una remunerazione. E deve comunque fare i conti con la diffidenza, con i timori di chi dovrebbe ‘ingaggiare’ un giovane che ha avuto un’esperienza carceraria.
Un tentativo di risposta a questi problemi viene dall’azione Cresci (Credito sociale per crescere insieme) del progetto sperimentale “LeAli al futuro”, nato da un accordo interministeriale tra il Ministero dell’Istruzione e il Dipartimento per la Giustizia Minorile, che ha coinvolto, a Catania, non solo i servizi minorili della giustizia (IPM e USSM) ma anche l’Istituzione scolastica, Enti di Formazione, associazioni del privato sociale, volontariato, associazioni di categoria come la Confindustria, Confcommercio e Confcooperative e singoli datori di lavoro.
Ad aprile, nella scuola media Cavour, ente gestore e destinataria del finanziamento MIUR riservato al progetto, si è svolto un convegno, “Economia solidale”, organizzato allo scopo di “promuovere la responsabilità sociale delle aziende nel settore dei minori dell’area penale”.
A queste viene chiesta la disponibilità ad ospitare, in regime di borsa lavoro, per un max di sei mesi e senza obbligo di assunzione, dei giovani che possano imparare un mestiere e “apprendere gli elementi fondamentali della cultura del lavoro”.
Ci sarà una risposta concreta da parte di un maggior numero di aziende? Lo spera Maria Randazzo, direttora dell’IPM, che ha lavorato con fatica e convinzione al progetto perché ritiene che l’Istituto non debba essere “una realtà chiusa in se stessa e autoreferenziale, ma debba dare concretezza agli interventi socio-educativi, promuovendo anche all’esterno un atteggiamento di solidarietà e responsabilità, come antidoto alla mancanza di speranza nel futuro che sembra segnare il nostro tempo”.
Nello specifico, l’azione Cresci ha consentito di destinare sette borse lavoro ad altrettanti ragazzi dell’IPM, uno dei quali fruisce della misura del ‘lavoro esterno’ e per questo ha accettato la difficile situazione dell’isolamento rispetto agli altri reclusi dell’Istituto. Non è consentito infatti che lui, che esce dalla struttura, si sposta con i mezzi pubblici ed entra in relazione con altre persone sul posto di lavoro, abbia contatti con gli altri ristretti.
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Gli altri destinatari delle borse lavoro vivono in comunità o sono in detenzione domiciliare, affidati in prova al servizio sociale.
Sono stati tutti sottoposti a dei colloqui per individuarne competenze, attitudini e aspirazioni e sono stati inseriti in percorsi di orientamento, hanno partecipato ad una fase di formazione per conoscere i principali aspetti del mondo del lavoro ed ognuno di loro è stato affidato ad un tutor.
Qualcuno potrebbe obiettare: “quante risorse per così pochi ragazzi!” oppure chiedersi “perché queste risorse non vengono destinate ai ragazzi che non delinquono?”
Perché questi ragazzi sono figli e frutto anche di scelte della società di cui fanno parte: la costruzione di quartieri ghetto omologati al più basso livello di vivibilità; lo sfruttamento del lavoro minorile che
A questo link trovi la presentazione del convegno.
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grande iniziativa !