Il campo san Teodoro, alcuni luoghi simbolo della precarietà del lavoro (in aziende confiscate e non), il piazzale antistante il Tribunale in cui si svolgeva un’udienza del processo Sandri: sono i luoghi scelti da Libera e Arci per caratterizzare le tappe catanesi della ‘carovana antimafie‘ di quest’anno.
Sulla breve ma significativa sosta della ‘carovana’ a piazza Verga, vorremmo oggi soffermarci, per dare conto degli sviluppi di una vicenda che Argo ha sempre seguito da vicino, l’omicidio dell’innocente Pierantonio Sandri, diciottenne, ad opera di giovani appartenenti alla mafia di Niscemi.
All’interno del Tribunale, infatti, mentre fuori si teneva il presidio, si stava svolgendo la seconda udienza di appello del processo a carico di Salvatore Cancilleri, unico presunto colpevole (all’epoca dei fatti minorenne) dell’omicidio di Pierantonio rimasto ancora a piede libero.
Un’udienza in cui l’avvocato dell’imputato ha presentato una nota difensiva che il giudice esaminerà insieme alla nuova testimonianza, presentata dalla Procura, che confermerebbe invece le accuse.
In attesa della nuova udienza, fissata per il 7 giugno, alleghiamo oggi un documento importante per fare luce sulla vicenda, il comunicato della Questura di Caltanissetta, emesso il primo marzo scorso.
In esso vengono narrati non solo i particolari dell’omicidio ma anche le dinamiche interne alle cosche operanti a Niscemi al tempo del delitto (1985), sulla base delle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, uno dei quali (Giuliano Chiavetta) si è autoaccusato del delitto.
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Secondo la deposizione dell’altro collaboratore, Antonino Pitrolo, che reggeva in quegli anni il clan mafioso di Cosa Nostra a Niscemi, Pierantonio fu ucciso dal gruppo di giovani che ruotava attorno a un boss emergente, Alfredo Campisi.
Questo giovane ‘astro nascente‘ si serviva -come leggiamo nel comunicato- “di un gruppo di ragazzi (alcuni dei quali minorenni) disposti a tutto e adusi al consumo di stupefacente del tipo cocaina”. Questi giovani che operavano con azioni delinquenziali (incendi di autovetture, richieste estorsive non concordate con i capi del clan, spaccio di sostanze stupefacenti) si erano resi protagonisti di aggressioni e risse, suscitando la disapprovazione degli altri affiliati e generando uno scontro conclusosi con l’eliminazione di Campisi.
L’omicidio di Pierantonio Sandri rientrerebbe nelle azioni compiute da questo gruppo e il reggente Pitrolo e gli altri affiliati ne avrebbero avuto notizia a cose fatte.
Le motivazioni che indussero ad eliminare il ragazzo e i particolari dell’assassinio sono raccontati nella deposizione resa da Chiavetta, il collaboratore che si è autoaccusato del delitto e che, come si riferisce nel comunicato, si è più volte interrotto nel rievocare la dinamica dell’omicidio, a causa di “ripetuti moti di commozione”.
Sandri -secondo al deposizione di Chiavetta- venne ucciso perchè sospettato di essere stato testimone oculare dell’incendio di un’autovettura, operato -di notte- da Salvatore Cancilleri, che faceva parte del gruppo mafioso e temeva che Sandri, essendo estraneo agli affari illeciti del clan e “non essendo omertoso”, potesse “rivelare questo fatto”.
Il gruppo di giovani mafiosi decise di parlare con Pierantonio e verificare se fosse a conoscenza dell’azione delittuosa. Lo invitaronono quindi ad andare con loro e lo portarono in campagna, dove lo interrogarono e, innervositi dai suoi reiterati dinieghi, lo minacciarono stringendogli attorno al collo una cintura.
“Alla fine lo abbiamo strangolato”, confessa il Chiavetta. Dopo avergli tirato addosso delle grosse pietre, abbandonarono sul posto il cadavere. Chiavetta fa anche i nomi degli eecutori: se stesso, Vincenzo Pisano, Marcello Campisi e Salvatore Cancilleri. Tutti oggi in carcere, tranne quest’ultimo, ancora sotto processo.
Il corpo di Pierantonio fu poi seppellito, in una buca scavata dai suoi assassini, per ordine del ‘capo’ Alfredo Campisi. I resti del giovane (quello che rimaneva dopo 14 anni dalla morte) furono ritrovati in seguito alle indicazioni fornite dal Chiavetta quando decise di collaborare. Anche la posizione del corpo e i frammenti di vestiario recuperati hanno confermato la veridicità della deposizione resa dal collaboratore. I colori della camicia, il tipo di jeans e gli effetti personali corrispondevano a quelli indicati dalla madre, Ninetta Burgio, nella denuncia di scomparsa.
Anche la questura di Caltanissetta ricorda la figura di questa mamma coraggiosa ed umile allo stesso tempo e ha chiamato “Ninetta” l’operazione con cui ritiene di avere chiuso il cerchio sul delitto Sandri. Dei ‘correi’ di cui Chiavetta fa i nomi, Pisano, pluripregiudicato, è in carcere, Marcello Campisi è da febbraio in stato di fermo, mentre sulla colpevolezza o sull’innocenza di Salvatore Cancilleri si attende il verdetto.