Fra i tanti presenti, un’interessante contaminazione: accanto a volti storici della sinistra catanese, almeno metà della sala era occupata da ragazzi, attirati, evidentemente, dalla voglia di conoscere questo eretico della sinistra, recentemente scomparso.
Nell’introdurre la discussione, Mattia Giambilonghi, uno degli organizzatori, ha spiegato che la scelta di confrontarsi proprio su questo libro testimonia la volontà di Cronache Marxiane di sviluppare un percorso di riflessione sulla sinistra, e sui comunisti italiani, in grado di evitare una visione acritica del passato, ma anche ogni frettolosa forma di liquidazione.
A Rosario Mangiameli (docente di Scienze Politiche, nei cui locali si è svolto il dibattito) è toccato il compito di ricostruire il percorso storico che portò Magri (brillante dirigente dei giovani della Democrazia Cristiana) ad aderire al Partito Comunista Italiano, dal quale, insieme con il gruppo de Il Manifesto, venne radiato nel 1969.
Un allontanamento determinato dall’originale, e autonoma, lettura dei movimenti sociali che, a partire dal 1968, attraversavano anche il nostro Paese, e dalle critiche espresse sul cosiddetto ‘socialismo reale’, nel momento in cui le truppe del patto di Varsavia occupavano Praga.
Un “lucido visionario”, secondo Mangiameli, che proseguì nel PdUP (Partito di Unità Proletaria per il Comunismo), di cui fu uno dei fondatori, la propria attività politica per poi rientrare nel PCI, dal quale si separò definitivamente dopo la svolta occhettiana.
Giovanni Caruso (del GAPA, Giovani Assolutamente per Agire) ha provato a ritrovare affinità e differenze con l’ impegno di chi, come lui, opera in un quartiere popolare come quello di di San Cristoforo. Una militanza più attenta all’azione concreta in difesa dei diritti, piuttosto che alle riflessioni di carattere generale. Ottenendo un’immediata risposta da Luciana Castellina che ha ricordato come, nel passato, le sezioni del PCI intervenissero nel teritorio unendo le lotte concrete alla battaglia politica più complessiva.
Nino De Cristofaro (Cobas scuola, che ha condiviso l’esperienza del PdUP) ha sottolineato come Magri non avesse mai abbandonato l’idea della rifondazione del movimento operaio, legandola a un profondo rinnovamento della sinistra comunista, senza, però, ripudiarne le ‘radici’. Un atteggiamento ben esemplificato dai manifesti affissi nella città italiane dal PdUP durante le proteste promosse da Solidarnosc (Danzica, 1980).
Vi si poteva leggere: “Con le nostre idee, accanto agli operai polacchi”. Una rifondazione che si sarebbe potuta affermare solo in presenza di significativi movimenti di massa, come in parte avvenne nella mobilitazione contro l’installazione dei missili a Comiso. Di Magri, delle sue analisi, ha concluso De Cristofaro, avremmo particolare bisogno oggi per uscire dalle ‘miserie’ del presente, caratterizzato da un dibattito che non riesce ad andare al di là del contingente.
Passione e ideologia. Di questo, secondo Luciana Castellina, era fatta la vita di Lucio Magri che, anche attraverso un piccolo partito come il PdUP, piccolo ma con tanti ‘quadri politici’ (esattamente l’opposto dei partiti leggeri, o del leader, oggi di moda), ha sempre provato a comprendere la realtà storica e sociale nelle sue trasformazioni.
Rimanendo convinto della necessità che intorno alla classe operaia, alla centralità del lavoro, dovesse essere aggregato un più ampio fronte anticapitalistico. Consapevole della inesistenza di scorciatoie o semplificazioni e della necessità, finita la spinta propulsiva – come disse Berlinguer – della rivoluzione di Ottobre, di rifondare le ragioni del socialismo, non di negarle.
E questo, secondo la Castellina, caratterizzò l’intera vita del PdUP, una sorta di partito-provvisorio perché il suo superamento avrebbe coinciso con la realizzazione dell’obiettivo: dare vita a un partito comunista rinnovato. Il che sembrò avvenire quando il PdUP confluì nel PCI dell’ultimo Berlinguer, presente ai cancelli della FIAT (1980), promotore del referendum in difesa della scala mobile.
Di un Berlinguer, però, in minoranza nel suo stesso partito, che, dopo la sua scomparsa, opererà in direzione opposta rispetto a quella auspicata da Magri. La separazione dal PCI/PDS sarà, perciò, inevitabile, ma anche il progetto di Rifondazione Comunista si rivelerà, per Magri, inadeguato.
Da qui la scelta di approfondire la riflessione storica e teorica, di scrivere una possibile storia del PCI – “Il sarto di Ulm” – convinto che “ ci sono buone ragioni e condizioni adatte per riaprire oggi criticamente una discussione sul comunismo, anziché archiviarla”.
Magri, ha concluso la Castellina, ha scelto di lasciarci, non di arrendersi. Non a caso ha proposto il brechtiano sarto di Ulm che, convinto di essere riuscito a costruire una macchina capace di far volare
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