Confrontando i dati del 1997 con quelli del 2008 relativi all’usura (ma identica tendenza si registra anche per le estorsioni), si rileva:
Anche i dati sui tempi dei procedimenti a Catania sono allarmanti. Stissi constata che tutti i processi durano troppo: “Un procedimento penale per estorsione consumata in media ha impiegato 1800 giorni per completare l’iter processuale del giudizio di 1° grado, ossia l’equivalente di 5 anni di tempo… Per usura consumata il tempo impiegato per completare l’iter procedurale del giudizio di primo grado è pari a 2450 giorni, l’equivalente di 7 anni”.
Fra i motivi sono indicati gli eccessi garantistici, la struttura amministrativa al collasso e la scarsa capacità dei relativi uffici giudiziari di smaltire il pesante carico di lavoro. In particolare, emergono “problemi di natura organizzativa” (aule carenti) e “problemi di natura procedurale (rinvii per legittimo impedimento dell’imputato o del difensore, per incompatibilità della composizione dei collegi o per incompetenza del pubblico ministero). A volte un rinvio si determina anche per un’omessa citazione del testimone dovuta a banali inceppamenti (indirizzo sbagliato, notifiche intempestive, ecc.)”.
Le difficoltà di condurre le indagini e acquisire le prove necessarie e le difficoltà della vittima a denunciare (e a confermare le dichiarazioni nel corso del procedimento) sono dimostrate dal numero sempre più basso delle denunce e dall’elevato numero di richieste di archiviazione.
Anche il prevalere delle denunce contro un solo indagato (306 su 578 nel periodo considerato da Stissi) è sintomo di difficoltà nell’acquisire le prove, perché è ormai pacifica la presenza delle organizzazioni malavitose nei reati di usura.
Stissi scrive: “coloro che riscuotono il pizzo devono necessariamente appartenere al gruppo criminale dominante nella zona ovvero essere autorizzati a svolgere tale funzione: è da escludere ogni ipotesi di autonoma iniziativa dell’esattore”. Le organizzazioni mafiose hanno d’altronde necessità di investire i proventi derivanti dal commercio delle sostanze stupefacenti.
Appare quindi una contraddizione che il reato venga acquisito dalla Direzione Distrettuale Antimafia, ma si proceda a carico di un solo indagato: eppure tra gli 80 procedimenti trattati dalla direzione Distrettuale Antimafia ben 19 procedimenti sono a carico di un solo indagato.
Il sost. Proc. Scaletta (vedi intervista su “Contrappunto in tempo di crisi. Inchiesta a più voci su Racket e Usura, edito dalla cooperativa Solidaria, riportata su ASud’Europa del 17/12/2012) afferma che “L’aggravante mafiosa è difficile perché non è facile dimostrare che quell’attività usuraia venga effettuata nell’interesse dell’organizzazione. In qualche caso si è visto che l’attività usuraia era effettuata nell’interesse di un mafioso, però poi c’è il problema di dimostrare che è fatta non tanto nell’interesse del singolo in sé quanto piuttosto nell’interesse dell’organizzazione criminale”.
Anche la prevalenza, nelle richieste di archiviazione, della motivazione “Infondatezza della notizia di reato” -a nostro avviso- rende palese la difficoltà o la ritrattazione di precedenti denunce.
USURA – articoli correlati su argocatania.org
E’ evidente che l’attuale normativa, al di là dei passi avanti nell’istituzione del fondo e nella migliore definizione del concetto di usura, non è adeguata a proteggere la vittima e alla durata dei processi.
Non si è riusciti a creare un circuito di fiducia tra Stato e vittime, in grado di abbattere il legame che lega usurato e usuraio. Legame che viene rafforzato anche dalle strategie commerciali molto convincenti degli usurai, che praticano all’inizio tassi quasi agevolati (addirittura del 2% mensile).
Il Fondo di Solidarietà, istituito dalla legge n. 108 del 1996 (art. 14) e dalla legge n. 44 del 1999, è destinato a far fronte ai debiti degli operatori economici vittime di usura e che hanno denunciato gli usurai. A loro viene erogato un mutuo da rimborsare in dieci anni senza interessi, non un premio per la denuncia fatta, ma una possibilità per riavviare la propria azienda o attività commerciale, artigiana e professionale.
Nelle pagine finali della tesi Stissi riporta il contributo, in termini di informazione e proposte, dell’associazione antiracket ASAEC: “A Catania l’attività estorsiva, consumata ai danni degli operatori economici, resta uno dei settori di maggiore interesse per la criminalità organizzata e permane estremamente diffusa in tutta la provincia, tanto da assumere proporzioni tali da venire abitualmente accettata dagli operatori economici”.
I gruppi criminali, anche se talvolta in contrastro tra loro, nell’attività estortiva evitano sovrapposizioni sulle medesime vittime e sul territorio.
Non si collabora perchè si è convinti che alle spalle del singolo esattore esista una vasta e pericolosa organizzazione e che, per “sistemare la situazione”, necessiti l’interessamento di una persona malavitosa, o comunque legata ad ambienti criminali, che possa fungere da intermediario tra gli estorsori e la stessa parte offesa.
Vi sono stati, tuttavia, casi in cui taluni commercianti in un primo momento hanno negato di essere sottoposti ad estorsione; in un secondo momento, confortati da pareri forniti da legali o da persone vicine, oppure costretti dai riscontri degli investigatori, hanno deciso di rendere dichiarazioni nelle quali ammettevano di essere vittime, “alleggerendo” con tale ravvedimento operoso eventuali responsabilità.
Altri, anche in presenza di fatti evidenti, si sono ostinati nella reticenza, correndo il rischio di subire procedimenti penali per favoreggiamento, oppure hanno riconosciuto come autori del reato soggetti collaboratori di giustizia oppure già destinatari di precedenti misure cautelari in carcere. In alcuni casi le parti offese hanno, invece, dichiarato di non aver pagato somme di denaro od altro a titolo meramente estorsivo, ma di aver effettuato delle “volontarie regalie”, nel tentativo di far venir meno uno degli elementi costitutivi del reato”.
L’ultimo aspetto analizzato nella tesi attiene alla difficoltà di concentrare in 6 mesi -come prevede l’attuale normativa- l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche prima della obbligatoria comunicazione alla persona sottoposta ad indagine. L’usuraio, venendo a conoscenza delle indagini che lo riguardano, può così cercare di mettere al sicuro i beni e i proventi dell’attività, inquinare e distruggere le prove, anche ricattando le vittime perchè forniscano agli investigatori una diversa versione dei fatti.
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non ho letto la tesi e quindi non posso dare un giudizio . Avendo trattato un caso molto difficile e complesso di un imprenditore che ha avuto l'ardire di denunciare posso solo dire che le leggi che il paralamento ha sfonato sulla materia sono leggi duicide ed ignobili. Le autorità statali ed anche la magistratura le applicano in maniera indecorosa per cui chi ha denunciato diventa solo una vittima dell'usuraio e dello Stato.A parte poi che giudici, avvocati, processi e procedimenti di vario genere ci perde pure la salute. C'è solo da dire che i politici che hanno ideato il sistema antiraket sono stati solo sprovveduti, ignoranti, poco accorti e privi di qualsiasi conoscenza in tema di economia imprenditoriale. E' solo una vergogna italica.
La situazione della lotta ai reati di estorsione e di usura non è cambiata in termini di denuncie ma:
1) all'interno del Tribunale, i Giudici trattano con garbo le vittime e, per quanto possibile, fanno di tutto per metterle a loro agio
2) le Forze dell'Ordine, malgrado le carenze di personale e mezzi, dimostrano grande professionalità e determinazione nell'ottenere prove inconfutabili a carico delle cosche
3) lo Stato, su sollecitazione delle Associazioni anti estorsione, ha emanato due leggi, la 44 e la 108, che non soltanto delineano i termini dei reati di estorsione e di usura ma addiruttura premiano l'imprenditore che denuncia mediante un congruo sostegno economico oltre che un indispensabile supporto psicologico. Addirittura prevedono la sospenzione dei debiti che la vittima non ha potuto onorare a causa del crimine subito. Lo scopo di tanto impegno è quello di aiutare gli imprenditori a ricostruire la loro attività economica e contemporaneamente di ripristinare l'economia legale nel territorio.
4) Le Associazioni, composte da imprenditori e professionisti volontari, si prodigano nel promuovere la cultura della denuncia e si costituiscono Parte Civile nei processi per conto delle vittime o, come nel caso del processo IBLIS, per conto dell'economia sana; anche quando la vittima non può o non vuole farlo.
Non è possibile prevedere quanti anni dovranno ancora passare per convincere gli imprenditori a denunciare le violenze subite, ma è realistico credere che tale giorno possa corrispondere al risveglio della coscienza popolare che, affetta da gravi forme di fatalismo e qualunquismo, non riesce ad evolvere in un sano sviluppo socio/culturale e sopratutto non si rende conto di essere funzionale alla cultura mafiosa.
Linda Russo