Come il più famoso Aspettando Godot di Samuel Beckett, “L’alba del terzo millennio” (testo di Pietro De Silva, regia di Federico Magnano San Lio, protagonisti Cosimo Coltraro ed Emanuele Puglia) mette in scena due personaggi che sono in attesa di qualcuno e di qualcosa che non arriverà mai.
Lo spettacolo, dal titolo suggestivo, ha segnato -il 17 e il 18 novembre- il ritorno al Teatro del Canovaccio di XXI In scena, il cartellone prodotto dall’Associazione culturale “Etna ‘ngeniousa”.
La Pasqua è quella del 2000, l’alba è quella che sorge per i due ‘ladroni’ che hanno trascorso una lunga notte all’addiaccio, aspettando invano che la processione arrivi a destinazione e qualcuno venga a liberarli da quella tremenda condizione.
Una distanza che appare incolmabile si frappone tra i due uomini che appartengono a mondi socialmente diversi: uno fa il maestro, l’altro il vinaio, ma saranno i maldestri approcci di quest’ultimo, stimolato dalla crescente sensazione di precarietà della situazione che si trovano a vivere, a dare vita ad un dialogo che li porterà a mettere a nudo le loro esistenze, fatte di fatiche quotidiane, di insoddisfazioni e speranze deluse.
Il dialogo ha un registro tragicomico e se lo spettacolo ha una pecca è senz’altro quella di aver calcato troppo la mano sulla vis comica che ha fatto, talvolta, precipitare nella farsa uno spettacolo il cui testo, a guardar bene, apre invece a profonde riflessioni sull’esistenza.
La vicenda appare, infatti, una metafora della vita contemporanea votata ai suoi riti consumistici, le cui effimere certezze vengono meno quando un accadimento imprevedibile determina una condizione di solitudine e di estrema fragilità.
Così i due malcapitati sono vittime di una società che ha perso di vista il senso del sacro al punto da averli dimenticati appesi ad una croce.
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Secondo me è indispensabile parlare con la gente per raccontare che cosa sta succedendo in Sicilia.
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