Non sfonda una porta aperta chi vuole prendere posizione, oggi a Catania, contro la pena di morte, considerata ancora da molti un modo efficace per contrastare la diffusione del crimine. Ben venga quindi l’iniziativa del gruppo Italia 72 di Amnesty International che stasera ci invita a ricordare il decimo anniversario della giornata internazionale contro la pena di morte, alle 20,30 al Teatro Coppola, con “musiche dal mondo, video, mostra fotografica ed altro ancora”.
Nel corso della serata ci sarà la possibilità di firmare gli appelli di Amnesty e di “scambiare pensieri”, come leggiamo nel comunicato. Il confronto e la riflessione sono, infatti, su questo argomento, molto proficui perchè contribuisco a mettere in discussione alcuni luoghi comuni purtroppo ancora molto diffusi.
Ecco allora “10 motivi per dire di no alla pena di morte”, che troviamo sul sito di Amnesty.
Nonostante le statistiche dimostrino che, nei paesi in cui vige la pena di morte, i reati non sono affatto diminuiti, si pensa ancora che la pena di morte sia un buon deterrente e possa stroncare i delitti e combattere la criminalità. Eppure “nessuno studio ha mai dimostrato che la pena di morte sia un deterrente più efficace di altre punizioni”, mentre è consolidato che “la chiave della deterrenza risiede nell’aumentare le probabilità che chi commette un reato sia arrestato e condannato”. Certezza della pena, quindi, e non pena capitale.
Ma c’è di più. “Alcuni studi hanno non solo dimostrato come il tasso di omicidi sia più alto negli stati che applicano la pena di morte rispetto a quelli dove questa pratica è stata abolita, ma anche come questo aumenti rapidamente dopo le esecuzioni”.
E’ una conferma del fatto che “la pena di morte è un sintomo di una cultura di violenza, non una soluzione a essa”. Un’esecuzione, infatti, “costituisce una forma estrema di aggressione fisica e mentale nei confronti di un individuo. La sofferenza fisica causata dall’azione di uccidere un essere umano non può essere quantificata, né può esserlo la sofferenza mentale causata dalla previsione della morte che verrà per mano dello Stato”.
La pena di morte, inoltre, là dove ancora esiste, è utilizzata soprattutto nei confronti dei più deboli, di chi non dispone “dei mezzi economici necessari per affrontare un processo capitale”, di chi appartiene a minoranze razziali, religiose, etniche che dispongono di minori garanzie.
I regimi autoritari, d’altra parte, la usano come “strumento di minaccia e repressione che riduce al silenzio gli oppositori politici”.
La pena di morte comporta sempre il rischio che venga ucciso un innocente. L’errore giudiziario è sempre possibile, come possiamo vedere dalle storie di persone rilasciate dal braccio della morte di molti Stati USA. E per chi è stato già ‘giustiziato’?
Non è detto infine che le esecuzioni diano conforto ai familiari della vittima, anzi quando “una vita viene presa per un’altra vita”, si giustifica “una forma di vendetta legalizzata”, escludendo per il condannato qualunque forma di riabilitazione.
C’è tuttavia un motivo di speranza. Nonostante la pena di morte sia ancora in vigore in alcuni paesi, cresce il numero di quelli che l’hanno abolita, nella legge o di fatto.
A partire dal 2007 sono state votate dall’ONU delle moratorie sulle esecuzioni capitali che, sebbene non siano vincolanti, “portano con sé un considerevole peso politico e morale e costituiscono uno strumento efficace nel persuadere i paesi ad abbandonare l’uso della pena di morte”.
Una efficace sintesi della questione è contenuta in questo pdf
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