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Slogan e manifesti, un incubo dai muri

Mi ritrovai, un giorno di primo autunno, in una terra bellissima, inondata di sole, colorata di mille fiori, con spiagge interminabili di sabbia finissima a fare da contorno a un mare scintillante e, sullo sfondo opposto, maestose montagne nere dai riflessi turchini.
Ad un tratto il cielo si offuscò e una pioggia bruna e maleodorante -era fango o che altro?- cominciò a coprire tutto, fino all’orizzonte, di una patina grigiastra.
Tenuti in alto da palloncini e portati dal vento, fra le nubi apparvero ad un tratto dei teli colorati, simili a manifesti elettorali, che facevano danzare nell’aria tante facce tenebrose, ognuna delle quali recitava slogan promozionali.
Mi fermai a leggerne alcuni e caddi in uno stato di deliquio e di abbattimento per cui, pur desiderando di correre via, restavo inorridito e paralizzato.
Noi possiamo guardarti negli occhi, diceva uno e mi chiedevo perché mai volesse immobilizzarmi con quello sguardo da grandefratello non cercato; voleva forse distogliere la mia attenzione da quanto avveniva alle mie spalle?
Un altro, invece, guardava di traverso l’orizzonte con piglio decisionista e mascella volitiva, affermando con forza: Con voi, per i nostri figli, per la nostra terra. Ma io non riuscivo a ricordare di avere mai cercato la sua compagnia né, tanto meno, di avere figli in comune con lui.
Un volto giovanile mai visto prima, dietro cui traspariva un baffetto malizioso già noto, afferma perentorio: Liberi di crederci. Ma a che cosa? Che la sua sia quella apocalittica candidatura che finalmente realizzerà il tanto atteso cambiamento? Ma se non sembra crederci neanche lui! Dategli un pizzicotto!
Altri volti giovanili sottolineano il tema della libertà: Una scelta libera e giovane, e della novità: La politica si colora di nuovo. Peccato che proprio negli stessi giorni, in una terra non lontana dalla nostra, altri giovanotti, esponenti di un partito che inneggia continuamente alla libertà, abbiano dato prova di una grande fantasia nella capacità di sprecare il denaro pubblico. Non ci sono più i giovani di una volta!
Accanto ad uno che pensa di fare lo spiritoso dicendo: Regioniamo tutti insieme, compare un altro che propone: Costruiamo insieme una nuova Sicilia. Un’altra? Non ne basta già una, con tutto il danno che è stata capace di fare finora?
Con fare affannato un tizio afferma perentorio: Giù le mani dalla Sicilia; La Sicilia ai siciliani; Noi siciliani mai più schiavi di Roma. Ora dipende da te! Da me? E che ci colpo io? Io non mi sono mai sentito schiavo di Roma e ho sempre visto invece, purtroppo per noi, solo dei siciliani che hanno messo le mani sulla Sicilia e ne hanno fatto strame. Perché si agita tanto?
Molti altri, con scarsa originalità, fanno appello all’esperienza acquisita e all’impegno che promettono di continuare a praticare. Ma, dico io, visti i risultati, non sarebbe il caso di saltare almeno un turno e riposarsi un po’, per il bene di tutti?
Un altro viso serioso mi porge un invito: Cambiamo la Sicilia, scegli il futuro. Ma come si fa’, ribatto io, a pensare al futuro in questa terra il cui dialetto non lo prevede neanche fra i suoi tempi dei verbi.
Un signore promette (o minaccia?) di (S)Catenare una rivoluzione siciliana. Se non ricordo male, l’ultima volta che ne abbiamo fatta una, contro gli Angioini, è andata a finire con l’offerta della corona ad un Aragonese. A che gioco vogliamo giocare?
Mentre rifletto su questo problema, un’altra faccia mi informa che, in effetti: La rivoluzione è già cominciata. E nessuno mi aveva avvertito? E se dovesse piovere, questa rivoluzione si farà comunque o verrà rinviata al chiuso di qualche palazzetto dello sport?
Poi guardo con più attenzione e mi colpisce il sorriso venato di dolce mestizia con cui annuncia il drammatico evento. Finora associavo alla parola rivoluzione il volto del Che Guevara, posso credere che la storia sia cambiata fino a questo punto?
Un signore col pizzetto ammicca con sorridente bonomia. Ma dove troverà mai, mi chiedo, la forza di sorridere, mentre tutti ci sentiamo sull’orlo di una voragine? E intanto ripete, come un mantra: Governare, con onestà. Ma, penso io, dobbiamo essere ridotti proprio male se quelli che dovrebbero essere solo due taciti presupposti per un uomo che vuol dedicarsi alla politica, diventano il suo scarno programma elettorale.
Da uno sfondo nero pece emerge poi un signore comodamente seduto, si direbbe stravaccato, con le gambe accavallate. Sembra che ce l’abbia proprio con me, perché ha le mani atteggiate alla classica minaccia ‘ti faccio un c… così!’, e pronuncia una frase sibillina: Sogno siciliano.
Non so se intendesse fare riferimento ai suoi trascorsi giovanili e me ne volesse fare partecipe ma, per fortuna, un trillo, prima leggero e poi sempre più insistente, mi sveglia.
Non era stato un sogno, era stato un incubo.

Argo

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