Ad animare i pupi la compagnia dei fratelli Napoli, con i pupari che manovrano a vista e i “parraturi” che, poco distanti, danno loro voce con l’aiuto di un microfono.
Nonostante i pupi siamo alti solo 80 cm. e quindi molto più piccoli delle figure umane, la bravura dei pupari e dei “parraturi” è tale che la loro presenza in scena risulta convincente e avvincente quanto e talora anche più di quella degli attori.
Colpisce scoprire come i pupi possano interpretare efficacemente eventi e sentimenti di complessità maggiore rispetto a quella dell’epica dei paladini. Ne è un esempio il personaggio di Riccardo, uomo perfido, che seduce ed inganna per ambizione arrivando più volte all’assassinio ma, alla fine del dramma, prende coscienza della propria solitudine e della propria sconfitta, anche sul piano umano.
Per tutta la rappresentazione, comunque, uomini e pupi si alternano o interagiscono tra loro, anche se l’ultimo atto è affidato esclusivaente all’interpretazione dei pupi e agli “effetti speciali” dei pupari.
Non sempre riuscito appare il tentativo di attualizzare la vicenda raccontata da Shakespeare utilizzando, per alcuni protagonisti, costumi allusivi a circostanze moderne e inserendo, tra secondo e terzo atto, la proiezione di scene legate al conflitto bosniaco e alla strage di Srebrenica. Solo il depliant consegnato all’ingresso chiarisce quale sia l’intento del regista: sottolineare il rischio ancora attuale della guerra civile, nonché il fallimento dell’Onu, nata per evitare il ripetersi di simili genocidi.
La mancanza di un palco tradizionale permette un buon coinvolgimento degli spettatori ma rende la scena poco fruibile a chi siede nelle file posteriori, soprattutto nei momenti in cui la recitazione è affidata ai pupi.
Lo spettacolo rappresenta comunque una sfida interessante e, nel complesso, vincente, che può aprire nuove prospettive ai bravissimi fratelli Napoli e a quest’arte dei pupari di cui tutti noi siciliani dovremmo essere gli orgogliosi custodi.
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