“Dal 1 gennaio al 12 agosto 2012 il numero dei roghi è aumentato di circa il 79% rispetto all’anno precedente, con 5.375 incendi boschivi divampati dall’inizio dell’anno”, questi i dati forniti dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.Quello degli incendi estivi, ancora ieri sono stati individuati ben 139 roghi in Italia, rischia di diventare un fatto ‘normale’, buono per riempire le cronache dei mass media, ma impossibile da arginare.
In Sicilia ricordiamo, in particolare, l’incendio che ha devastato la riserva naturale dello Zingaro (TP) in misura così significativa che è stato vietato per molti giorni l’ingresso dei visitatori e la navigazione proibita sino a 50 metri dalla costa e quello della discarica di Bellolampo (PA).Ma ricordiamo, soprattutto, la morte del forestale Francesco Pizzuto.
Ovviamente, al centro di ogni riflessione la natura dei roghi. Secondo G. Zanna (Legambiente Sicilia) i roghi sono “appiccati da delinquenti approfittando del caldo che alimenta il fuoco, e per le ragioni più diverse: dal forestale non riassunto che vuole vendicarsi agli speculatori, dai pastori a quelli che non amano le riserve naturali”. Ma Zanna denuncia, anche, l’assenza di politiche di prevenzione.
Interessante la proposta del sindaco di Campello sul Clitunno (PG) che, per potenziare le capacità di intervento, propone di acquistare Canadair invece dei ‘famosi’ caccia F35.
Molti fanno riferimento ai risultati positivi ottenuti, durante la presidenza di Tonino Perna, nel Parco nazionale dell’Aspromonte, quando i roghi vennero ridotti quasi del 90%.
Ed è proprio Perna che, in un’intervista dell’11 agosto al quotidiano “Il Manifesto”, invita ad abbandonare i luoghi comuni, gli astratti appelli alla difesa del territorio e a ragionare sui dati disponibili. Ricordando, innanzitutto, che i “fuochi scoppiano nel circa 50% dei casi in territori che hanno già subito incendi negli ultimi cinque anni.
Se gli incendi sono ricorrenti, almeno per la metà, perché non concentrare la prevenzione su queste aree”? Una prevenzione che deve puntare a ricostruire un corretto legame fra abitanti e territorio, perché la difesa di un bene comune deve riguardare l’intera collettività.
In quest’ottica, dal 2000 al 2005, nel Parco nazionale dell’Aspromonte sono stati realizzati i “contratti di responsabilità sociale e territoriale con cui l’Ente Parco affidava alle associazioni di volontariato parti del territorio calcolando un costo medio per ettaro, dando un premio di risultato se la superficie bruciata non superava l’1% del territorio affidato”.
L’effetto, come abbiamo detto, fu di ridurre drasticamente gli incendi con un costo molto contenuto (il tutto costava circa 200.000 euro ogni anno). E’ doveroso quindi interrogarsi sui perché della mancata generalizzazione di un tale modello vincente. Una prima risposta, secondo Perna, è legata, paradossalmente, proprio ai bassi costi che non lasciano margini a speculazioni e tangenti.
Ci sono, però, anche altri interessi che premono perché rimanga la più che discutibile organizzazione odierna. Le società private (l’ex Presidente del Parco cita, per esempio, la SMA spa) che affittano i loro elicotteri alle regioni, “gli operai idraulico-forestali che possono fare gli straordinari solo quando si è in presenza di incendi non facilmente domabili […] Ogni incendio mette in moto Canadair della Protezione Civile, con il costo di 2.500 euro l’ora, squadre di vigili del fuoco, società private, ore di straordinario, ecc. Insomma, anche gli incendi fanno crescere il Pil”.
Che tale crescita sia solo apparente e determini, invece, un impoverimento generale, che riguarda uomini e territori, non è divenuto, almeno fra i più autorevoli mezzi di comunicazione, motivo di riflessione.
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