Ragazzi che leggono, che scrivono, che si aprono a problemi attuali come quelli dell’immigrazione. A scuola si può. Argo oggi ripresenta il testo realizzato,
nell’anno scolastico 2006/2007, dagli alunni della prima A Tecnologico del Liceo Scientifico Statale “Boggio Lera” di Catania per il concorso “La scrittura non va in esilio” della fondazione Astalli.
I ragazzi hanno letto le terribili storie dei migranti in saggi e racconti autobiografici e sulle pagine dei giornali, hanno ascoltato le esperienze di volontari e di stranieri che vivono in Italia. Ispirandosi quindi al modello della Antologia di Spoon River di Lee Masters e alla rielaborazione musicale fattane da Fabrizio de’ Andrè con il titolo “Non al denaro, non all’amore né al cielo“, hanno realizzato un bellissimo lavoro collettivo dal titolo “L’isola della speranza“, in cui hanno dato voce alle vicende umane dei migranti sotto forma di epitaffi. Un modo per restituire loro almeno un brandello di quella vita che hanno perso per raggiungere le nostre coste.
Hazrat, Katane, Alì il disprezzato, Hel Hallal, Abdul, Azouz, Haissam, Josuf Alà, Nebiu, Okan, Rahim Mustafar, Rashid, Sarid, Shakoo, Ismet…. Tanti nomi, storie di “Figli … e figlie che la vita aveva spezzato ” (Lee Masters)
L’isola della speranza
Dormono tutti: chi in fondo al mare chi caduto da un’impalcatura chi ucciso da balordi ubriachi chi soffocato in un container chi scegliendo di morire di propria mano per sottrarsi alle umiliazioni e alle offese chi, già vecchio, logorato dai ricordi e dalla nostalgia.Ma per tutti la morte è cominciata in quel momento in cui hanno lasciato i profumi, i sapori della propria terra. Da quel momento hanno cominciato a morire lentamente, dolorosamente espropriati del nome, della dignità, trasformati in bestie da lavoro, in fantocci senz’anima su cui sfogare frustrazioni e rabbia o incosciente baldanza giovanile.Forse la sorte è stata più clemente con coloro che non hanno nemmeno toccato la riva, che si sono inabissati nel mare che volevano attraversare.Non hanno nemmeno una tomba o sono sepolti ovunque, sotto zolle di terra sconosciuta e inclemente, con lapidi o senza lapidi che li ricordino.Per tutti l’approdo desiderato era l’isola della speranza. Ci siano passati o rimasti, |
l’abbiano vista da lontano o solo sognata, l’isola era la loro meta, la loro speranza di riscatto, ma è stata la loro vera tomba.Hazrat Cercavo di coronare i mie sogni di libertà. dopo un lungo viaggio pieno d’insidie arrivai in un paese di padroni che mi trattarono come schiavo, che mi toglievano la libertà che avevo cercato sino a quando ho deciso di trovare la libertà attraverso la morte. Katane Nei miei ricordi la lotta, una lotta continua senza mai tregua fino alla fine, una lotta per la vita contro uomini che credevo uguali a me, che mi chiamavano clandestino, mi cacciavano dal loro mondo per il diverso colore, la diversa lingua, il modo di pensare o di pregare, solo perchè ero io, ed era una colpa. |
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Alì, il disprezzato Tu mi scansi quando mi vedi per strada, o in giro per guadagnarmi da vivere, mi guardi con sguardo di disprezzo pensando a dove vivo. “Vive con i ratti”. Può essere vero, ma non dai valore a ciò che sono stato costretto a fare. Sono un immigrato, sono arrivato tra sofferenze inimmaginabili per venire nella tua terra, per avere qualche speranza, per dare un futuro ai miei figli, per non avere vissuto invano. Ma i miei figli non avranno futuro e la mia vita non è servita a nulla. Hel Halla Non potevo essere un ragazzo normale giocare come tutti gli altri. Crescendo mi sono reso conto di tutto quello che non ho potuto fare da ragazzo, che mi è stato negato che mi è stato tolto da persone che ora vorrei non esistessero, per non provocare altro dolore a chi già soffre. Voglio che questa gente sia aiutata e protetta, difesa da chi sa fare solo del male, da chi non capisce i sentimenti, la sofferenza e pensa solo a se stesso. |
Aiutateli questo è l’ultimo messaggio che do. Aiutate i più deboli. Ve lo dico da questo luogo di silenzio, dove sono ormai uno come gli altri. Abdul Abdul, questo è il mio nome clandestino è il soprannome vissi in un paesino il mio lavoro era fare il contadino io e i miei due figli cercavamo speranza un lavoro e cittadinanza. Il viaggio è stato lungo in una barca senza remi. Speravo che sani e salvi potessimo arrivare perché un lavoro dovevamo cercare mia moglie volevo farla venire una vita migliore costruire ma il mare mi ha inghiottito e il mio sogno è svanito Azouz Fuori dal mio Paese vissi cinque anni. In Italia tutti mi deridevano per il colore della pelle, e perché andavo sempre alla moschea così tutti mi presero per matto. Ma io continuai a farlo fino a quando due ubriachi mi colpirono con un masso. E io mi addormentai per sempre. |
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Haissam (Un immigrato come tanti) Il mio nome è Haissam un nome come pochi, ma che valore può avere un nome… Quando le tue ceneri sono ormai sommerse dal mare Quando in vita hai dovuto abbandonare il tuo Paese con i suoi odori e i suoi sapori, Quando sei stato costretto ad emigrare in un altro Stato e ad abbandonare la tua famiglia per un futuro migliore Quando hai rischiato la tua vita per fuggire alla miseria Quando non sei stato accettato Quando ti hanno calpestato la dignità Quando c’è voluto poco per trasformare il tuo sogno in un vero e proprio incubo. Haissam, un nome come pochi un immigrato come tanti. Josuf Alà La mia vita è come un lungo viaggio su una nave, i cui passeggeri sono collocati in tante classi, ognuna offre vite differenti. Io, uomo da un lato, clandestino dall’altro, sono nato nell’ultima classe, e lì sono morto. Nebiu (un padre disperato che amava i suoi figli ) Ho provato la gioia della paternità cinque volte, volli il meglio per i miei figli. La mia gioia si tramutò in preoccupazione e dovetti rinunciare all’idea di una vita migliore per loro. Faticavo sempre, ma tutto era inutile. Non sapevo cosa fare; ero disperato. Incontrai una possibilità: avrebbe mutato il loro squallido destino, invece li condannai, |
consegnai i miei figli nelle mani della segregazione, della violenza e della morte. Ero rimasto solo al mondo, la mia vita non aveva alcun senso, e allora decisi di raggiungerli e restare per sempre al loro fianco. Okan Ehi tu, avente diritti, io sono un povero uomo come te, tale e quale, l’unica differenza è nella pelle e nella cultura. Ho saputo che hai paura di me, che io rubi a te il lavoro, la tua ricchezza. A me non interessano. Io vorrei solo un rifugio e qualcosa da mangiare tutti i giorni, senza dovermi massacrare di lavoro. Mi avete dato il soprannome di clandestino e grazie a questo non posso difendermi da niente e da nessuno e subisco angherie di tutti i tipi. Rifletti un po’: io sono qui perché nel mio Paese la vita è impossibile. Che ti costa farmi lavorare per mandare qualcosa ai miei? Purtroppo queste richieste sono buttate al vento perché la morte ha preso il sopravvento. Rahim Mustafar Ero una persona insignificante e lo sono sempre stata sia in Marocco che in Italia. Il giorno del mio trasferimento mi cambiò, vedere il dolore di chi era più disperato di me, rubare per permettermi il viaggio, vedere gente soffocare o cadere in mare aperto. Arrivato a destinazione vagabondai per le strade in cerca di un rifugio e di un guadagno. Un giorno mi dettero un lavoro umile e faticoso con un salario scarso e un’abitazione cadente. La mia vita trascorse così vissi le giornate solo ed emarginato, fin quando non giunse la mia ora. |
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Rashid Qui giace il ricordo di un immigrato, un uomo buono che è stato emarginato come un’anatra in mezzo ad un gruppo di cigni. Un uomo che ha dato molto ma ha ricevuto poco. ALGERIA 1979-ITALIA 2004 Sarid La speranza di una vita migliore mi costrinse a fare un duro e lungo viaggio Rinchiuso all’interno di un container ho vissuto attimi da incubo. L’aria diventava insufficiente e i miei compagni cominciarono a svenire. Urlavo con tutta la mia forza sperando di ricevere aiuto. Stremato mi accasciai a terra e la morte mi parve l’unico sollievo Nonostante riuscissi nel mio intento e molti anni abbia vissuto, ora che sono morto il pensiero vola ancora a quei momenti. Shakoor Lasciai la mia terra quando ero giovane, perdetti la mia famiglia. Quando arrivai nella terra della speranza la gioia e la spensieratezza andarono via, quelle di un ragazzo che ha perso tutto, e che, paragonato a te, non ha niente, solo una bottiglia d’acqua e una spazzola per lavare i vetri. Temevo la notte, tutte uguali tutte brutali, i miei compagni mi perseguitavano, erano un’ossessione, li odiavo e quando mi ribellai agli abusi, persi la vita, sapendo di aver fatto la cosa migliore. Questa terra mi ha deluso profondamente. |
Ismet (Il giurista) Mi chiamo Ismet e ho 37 anni, avevo tanti sogni. Vengo dalla Turchia, sono laureato in giurisprudenza. In Italia cercavo un lavoro sicuro (magari che riguardasse i miei studi); mi hanno raccomandato uno scafista che portava in Italia senza fare domande, ho messo da parte i soldi e sono partito lasciando tutta la mia vita alle spalle. Era un giorno di sole e il mare era calmo poi il mare si è ingrossato con onde alte due metri, abbiamo dovuto consegnare i soldi e siamo partiti lo stesso. Avevamo una valigia con lo stretto necessario. La barca non ha resistito e molti siamo caduti in mare. Mi sono risvegliato sulle coste siciliane, ma ero morto! Zabat Mahami Questa è la fine, la mia unica e bella amica solo lei non mi ha tradito. Sin da ragazzino ho costruito la mia vita, per arrivare in alto, per non invidiare più nessuno ma per essere invidiato. Sono diventato quello che volevo diventare e l’ho fatto io: con la mia volontà, i miei sacrifici, il mio sudore. Vivendo in un Paese fragile, persi tutti i miei averi, il governo me li espropriò ingiustamente solo per l’interesse di pochi. Mi fa ancora rabbia il pensiero della mia innocenza. Dopo la partenza, sono arrivato molto in basso, tanto quanto ero arrivato prima in alto. Arrivai al punto di essere una di quelle persone che disprezzavo, un insignificante clandestino. L’impatto fu tremendo: dal dominare all’essere dominato. L’unica speranza è stata la morte. |
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Mohamed Sono riuscito col coraggio a ribellarmi ad un mondo ostile che mi vedeva avverso, affrontando il dolore e lasciando la mia famiglia, ho abbandonato il mio paese solo per loro, con il cuore a pezzi. E tentato dai soldi facili, ho corso molti rischi, sono andato contro legge. Stavo perdendo i miei valori, mi sono rimboccato le maniche e ho aiutato chi viveva il traviamento. |
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Gli autori: Fabrizio Plumari, Nicolò Conti, Francesco Perricelli, Veronica Giordano, Emanuele D’Addea,
Marco Raresi. Claudia Finocchiaro, Andrea Savia, Gianfranco Sciuto, Simone Termini, Luca Corinzia, Simone Li Volsi, Filippo Sangari, Alessandro Cavallaro, Giuseppe Cavallaro, Giusi Nicolosi, Giovanni Musumeci, Umberto Tuvè
“L’isola della speranza” ha ricevuto una menzione speciale dalla giuria del concorso “La scrittura non va in esilio” ed è stata pubblicata nel volumetto che raccoglie i racconti premiati. Ecco la motivazione del riconoscimento: ” … per l’originalità dei testi, per la qualità letteraria del lavoro, per l’impronta poetica con cui gli autori sono riusciti ad esprimere il dolore dell’esilio e la lacerazione di chi è costretto a lasciare la propria patria perchè perseguitato.”
Ringrazio tutta la redazione di argo Catania per aver pubblicato il lavoro della mia classe al fine di rendere al tutti presente quanto sia sentito questo problema anche ai ragazzi che allora frequentavano il primo anno di liceo