Carissimi amici e colleghi,
assisto da qualche tempo ad una considerevole attività polemica fra molte donne e molti uomini di teatro che operano in questa città.
Il casus belli? Mi pare sia stato, correggetemi se sbaglio, l’annuncio di tagli, poi rientrati, al Teatro Stabile. Con un tempismo degno delle migliori commedie martogliane, i detrattori e i difensori del suddetto teatro e del suo direttore sono scesi in campo. C’è chi si è affrettato a sottolineare che la propria è una difesa del Teatro in quanto importante istituzione cittadina e che non c’è, nel loro sostegno, nessuna intenzione di compiacere l’attuale direzione, chi invece attacca proprio la dirigenza per la scarsezza di progettualità “artistica” e per la gestione clientelare che mette in atto.
C’è poi chi considera i tagli addirittura la causa principale della morte della cosiddetta “cultura” in questa città, omettendo che il teatro Stabile è solo una delle realtà, anche se la più rappresentativa, e che i più significativi cambiamenti degli ultimi decenni sono tutti avvenuti fuori dai teatri istituzionali.
Di contro c’è poi chi ha addirittura affermato che l’annunciato taglio dei fondi sarebbe stato un fatto benefico per la città, dimenticando che i tagli non sono mai auspicabili perché sintomo di un fallimento che non lascia fuori nessuno e coinvolge tutti.
Di tutto avevamo di bisogno. Non certo di tale scontro e di simile discordia.
Sia chiaro, lungi da me una predica moraleggiante e bacchettona. Ma ho l’impressione che le argomentazioni di questo dibattito siano sterili, improduttive e vuote.
Per tutte queste ragioni mi sono chiesto se fosse possibile cogliere un senso diverso della crisi che stiamo vivendo. Quelle che seguono sono idee e riflessioni che ho maturato in quest’ultima stagione lavorativa.
La crisi del teatro catanese è un fatto che non lascia margini di incertezza. Il Teatro Stabile protesta per i tagli, ma vorrei ricordare anche i tanti teatri privati che, in silenzio, in questo momento soffrono a tal punto che molti di loro faranno fatica ad alzare il sipario la prossima stagione. Crisi economica? Certo! Lo sappiamo. I fondi sono sempre meno per tutti e sarebbe giusto che si stanziassero più soldi per il teatro. Ma siamo sicuri che la crisi del teatro risieda esclusivamente nella mancanza di fondi? A me sembra che la questione sia più complessa.
Cari amici e colleghi, discutiamo tanto di denaro, ma pochissimo di cosa fare con questo denaro. Ciò che manca in questa abnorme polemica sono le ragioni progettuali forti che dovrebbero stare alla base di tali richieste economiche. Se il nostro obiettivo è solo quello di richiedere spazi e fondi per produrre spettacoli che sono l’esatta copia di ciò che si realizza nei teatri di tradizione, e ovviamente non mi riferisco solo allo Stabile, non vedo ragioni di polemica. Ci stanno già quei teatri. Non si sente alcun bisogno di doppioni. Il nostro lavoro ci impone una costante attività di ricerca e un impegno faticosissimo di osservazione e analisi.
Gli spettacoli soffrono per la mancanza di pubblico, certo, ma la ragione di questo non può soltanto essere ricercata in un casuale disinteresse al teatro da parte della “gente”. La responsabilità sarà in parte anche nostra? Evidentemente le proposte che offriamo non riescono più a trascinare: siamo poco interessanti perché non progettiamo, ci limitiamo a replicare vecchi modelli e schemi obsoleti che non hanno più nessuna capacità attrattiva.
Abbiamo smesso di osservare ciò che ci circonda e non riusciamo più a captare le esigenze dei nostri tempi. Per non parlare poi delle modalità operative. Ci affanniamo a produrre spettacoli poco pensati. Il tempo delle prove è ridottissimo, quello di studio quasi inesistente, la nostra funzione all’interno del contesto sociale in cui operiamo è completamente sconosciuta. Un ritorno alle origini, un ritorno alle motivazioni più profonde che ci hanno indotto a intraprendere questa carriera così difficoltosa, si impone.
Catania ha un passato importante sotto il profilo teatrale. Ma credo sia arrivato il momento di scoprire come mettere a frutto uno stile che nei tempi passati era riconosciuto persino all’estero, di ripensare ad un modo di operare che sia completamente dei nostri tempi. La tradizione si nutre delle innovazioni. Senza un nostro intervento forte, la tradizione rischia di diventare vecchiume e basta.
Carissimi, tempo fa durante un incontro a casa mia ebbi già modo di esporre parte di queste considerazioni, e già allora dichiarai di essere pronto a mettermi in gioco e disponibile a chiunque avesse voglia di discutere. Quello che occorre chieder(ci) è un investimento su noi stessi, ma tutti assieme. Se ci isoleremo e eviteremo di riflettere su questi punti, credo che la crisi sarà irreversibile. Per chi ci sta io ci sono e ci sarò sempre.
E questo è quanto.
Nicola Alberto Orofino
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credo che la discussione, il commento critico e la pubbliità siano tre requisiti per far riemergere il teatro a Catania e provincia. Purtroppo, il bravo Orofino non adombra un sospetto e cioè la totale mancanza di libertà e di concrete possibilità sia sotto l'aspetto della libertà di critica che sotto quello economico. L'unico quotidiano che domina Catania e provincia è la Sicilia e nessun surrogato credo sia stato trovato per consentire l'occupazione di una fetta o financo di un piccolo spazio di mercato. I principi capitalistici e cioè dell'utile per chi lavora, per chi stampa e per chi investe in pubblicità non credo abbiano trovato valide alternative.Le riviste specializzate sono poche e fors e non sono ben fatte. A mio giudizio manca la presenza o si avverte l'assenza di critici ben acculturati anche politicamente per fare amare un tipo di teatro impegnato che non sia al livello di Celestini o della Roberta Torre.Troppo sguaiati sono questi soggetti per cui il loro teatro si impone anche per la semplicità dei significati trasmessi o imposti al pubblico " impegnato" .Forfse è sul tipo di impegno politico che bisognerebbe discutere e pubblicare.