Se ne è discusso a Catania, due settimane fa al Teatro Coppola (su iniziativa di Officina Rebelde Catania, Rete Antirazzista Catanese, C.o.p.e. e Teatro Coppola) con Yvan Sagnet, uno degli autori del libro, venuto in Sicilia anche per provare a socializzare questa esperienza tra i lavoratori stranieri di Cassibile (SR) .
La proiezione del film “La terra (e)strema”, una cena sociale con riso e patate solidali a cura del Co.P.E e un concerto di musiche etniche hanno ‘completato’ la serata.
Sagnet, nel 2007, giunge a Torino dal Camerun, si iscrive al Politecnico e, attraverso contratti part time, prova a mantenersi negli studi.“Per potermi pagare le tasse universitarie –scrive Sagnet- mi ritrovo, su consiglio di un amico, in Puglia, in particolare a Nardò, per la raccolta delle angurie e dei pomodori”.
Arriva nella Masseria Boncuri, un centro di accoglienza che il Comune ha messo a disposizione per alloggiare gratuitamente i lavoratori. I posti disponibili sono circa 200, ma nei momenti di massima affluenza nel campo si trovano anche 500 persone, con tutte le conseguenze di un tale sovraffollamento.
Tunisini, sudanesi e ghanesi rappresentano circa il 70% dei presenti, circa il 90% ha tra i 18 e i 40 anni. I tunisini sono specializzati nella raccolta delle angurie, i sudanesi in quella dei pomodori. I tunisini, presenti da più tempo in Italia, in particolare nelle campagne siciliane, ritengono le condizioni di lavoro di Nardò decisamente più arretrate, sia per quanto riguarda i salari, sia per l’assoluto e incontrastato dominio dei caporali.
Non a caso, le associazioni che hanno gestito la masseria hanno promosso la campagna “Ingaggiami. Contro il lavoro nero”. Si tratta della onlus Finis Terrae e delle Brigate di Solidarietà Attiva. Queste ultime intervengono nelle situazioni di crisi stimolando autodeterminazione e auto-organizzazione.
Al suo arrivo Sagnet pensa di essere ritornato in Africa: “l’alloggio nelle tende, cinquecento persone di diverse culture, che parlano lingue diverse e tutto intorno sporcizia e rifiuti abbandonati”. Presenti, come sempre in questi casi, anche persone che non cercano lavoro nei campi: meccanici, commercianti, prostitute.
Per lavorare bisogna affidarsi ai caporali. Il ‘passaggio’ per il luogo della raccolta costa 5 euro, il caporale organizza concretamente il lavoro e per 3 euro e 50 fornisce, obbligatoriamente, ai lavoratori il panino per il pranzo. Tolte tutte queste spese, al lavoratore rimane un salario di circa 16 euro, con qualche variazione sulla base di quanto si è raccolto (3 euro e 50 a cassone).
Di fronte ai continui soprusi subiti, il nazionalismo diffuso all’interno del campo viene progressivamente superato, la riflessione sulle condizioni di lavoro determina una ‘tensione condivisa’. Si organizzano dei picchetti in tutti i punti di ingresso e uscita della masseria per realizzare il primo giorno di sciopero per “un contratto regolare, l’indennità di disoccupazione, gli strumenti di lavoro (guanti, scarpe anti-infortunistica)”.
Una ‘direzione’, composta da membri di ogni comunità (nel campo sono quattro le principali lingue parlate: arabo, francese, inglese, ghanese), inizia le trattative. Scrive ancora Sagnet “nonostante le difficoltà con uno sforzo collettivo nostro e dei volontari siamo riusciti a conservare la coesione sociale tra i diversi gruppi comunitari nel campo. Mantenere salde le nostre posizioni e sentire la solidarietà degli altri lavoratori”.
Sullo sciopero pende costantemente la minaccia della ‘guerra fra poveri’, che rende più difficile mantenere gli equilibri sociali dentro il campo, soprattutto a causa delle pressioni dei caporali. Le trattative in Prefettura (a Lecce) si concludono con l’istituzione di liste di prenotazione per i lavoratori immigrati stagionali, il trasporto gratuito dalla masseria sino ai campi, la costituzione di una Commissione provinciale per l’agricoltura. Risultati parziali, che non vengono sottoscritti dalla delegazione dei migranti.
Il 13 agosto del 2011 un risultato impensabile prima della mobilitazione: viene introdotto nel nostro ordinamento penale (art. 603-bis c.p.) il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, in altre parole, chi esercita il caporalato commette un reato penale.
Fare applicare la legge non sarà facile, ma è un obiettivo, e importante, passo in avanti. Condividiamo, perciò, le conclusioni di Segnat “il percorso è lungo e la lotta per la legalità e l’ottenimento dei nostri diritti sarà dura ma ci proveremo”.
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