Conclusa anche in Sicilia la tornata elettorale, è tempo di bilanci e commenti.
Naturalmente i giornali ne sono pieni e due sono state le osservazioni più gettonate. L’ulteriore crescita dell’astensionismo, che ai ballottaggi si è collocato ormai intorno al 50% degli aventi diritto, e quello che è stato definito ‘il vento del cambiamento’.
Sulla prima non c’è molto da aggiungere: è un dato di fatto che è conseguenza della tradizionale sfiducia popolare verso la politica e che oggi è ingigantita dalla corruzione sempre riemergente e dalle nuove forme, meno ideologiche e più personalistiche, che hanno assunto i partiti e che non sempre favoriscono i processi di identificazione e condivisione.
A nessuno sfugge la difficoltà di leggere i risultati a causa di una politica delle alleanze certamente spregiudicata, che in molti casi rende arduo definire gli schieramenti di centrosinistra o di centrodestra. Tuttavia è possibile annotare almeno alcune linee di tendenza, nella speranza di contibuire al formarsi di un’opinione.
Il primo dato: in molti Comuni, soprattutto in quelli in cui lo scontro è stato più netto ed è più facile individuare con chiarezza poli alternativi, i candidati sindaci della sinistra hanno raccolto più voti delle liste che li appoggiavano, mentre a destra è avvenuto il contrario.
E’ inoltre significativo che alcuni partiti di quella sinistra rimasta fuori dal parlamento alle ultime elezioni politiche, abbiano ripreso a parlare un linguaggio e a proporre programmi basati su bisogni reali e su idee, vecchio-nuove, di solidarietà. E su questa base cominciano a cogliere alcuni significativi successi.
Sullo schieramento della Destra il fattore più evidente ma che stranamente non ha destato il clamore che merita, almeno nella sua versione siciliana, è la scomparsa del PDL del 61 a zero.
Va inoltre annotato il fallimento, a Marsala e Palermo, del tentativo dei Forconi, che invece vincono a Niscemi. Non pare invece che ci sia un crollo, ma neanche un significativo arretramento di Lombardo.
Vorremmo invece aggiungere qualcosa riguardo al tema del bisogno di cambiamento perché, a ben guardare, esso non esprime bene il senso degli avvenimenti: un cambiamento tanto per cambiare non è un fatto che, di per sé, dimostri maturità civica e politica.
Né è il caso di appellarsi alle virtù della cosiddetta ‘società civile’, perché è quella stessa che ha permesso a indegni figuri, che rispondono ai nomi di Umberto Scapagnini e Diego Cammarata, di abbattersi per oltre un decennio, come piaghe bibliche, sulle amministrazioni di Catania e Palermo.
Non è che non ci siano stati cambiamenti negli esiti delle votazioni, ma ciò che li ha caratterizzati è soprattutto la mancanza di una chiara indicazione verso cui dirigere questo cambiamento.
Certo, va scontato il fatto che alle elezioni amministrative fiorisce il fenomeno delle liste civiche, di cui è sempre difficile individuare gli ascendenti, ma poche volte, come in questo caso, si sono viste liste civiche che più trasversali non si può, ramazzando, come hanno fatto, scontenti e transfughi di ogni provenienza.
Un caso emblematico su tutti: a Pozzallo il nuovo sindaco è tale Luigi Ammatuna, candidato da SEL e IDV, il quale alle precedenti elezioni ci aveva già tentato come candidato del centrodestra. E adesso ha vinto contro l’omonimo Roberto Ammatuna, candidato ufficiale di PD, Pdl, Udc.
Per non andare lontani, basta guardare a ciò che è accaduto nei principali Comuni della Provincia di Catania in cui si è votato.
I più eclatanti esiti hanno riguardato le amministrazioni di Caltagirone e Paternò, che sono andati esattamente in direzione uguale e contraria, una sorta di castello dei destini incrociati.
Particolarmente incomprensibile sembra la sconfitta del PD a Caltagirone, dove pure per circa venti anni sembrava aver bene amministrato. Si è trattato forse di un’esperienza troppo personalizzata sulla figura dell’uscente Pignataro? Basta l’invocata esigenza di ‘moderazione’ per giustificare tale testa-coda?
E la vittoria al primo turno di Di Guardo, già sindaco Pd a Misterbianco, ma ora ottenuta contro tutti i partiti ufficiali, è un segno di rinnovamento o un ritorno al passato? Per non parlare dell’esempio maggiore della vittoria di Orlando a Palermo, con cui comunque la città aveva vissuto una buona stagione amministrativa.
Ma in questo caso occorre sottolineare che la schiacciante vittoria di Orlando serve soprattutto a marcare la confusione che regna all’interno del PD siciliano mentre la sconfitta di Ferrandelli rappresenta un giudizio nettamente negativo sull’ambigua alleanza di una parte del PD con Lombardo, a rinnovo dei (ne)fasti del consociativismo d’altri tempi.
Nel suo piccolo, forse una delle poche eccezioni, rispetto a questo panorama non certo consolante, è la vittoria di Valerio Marletta a Palagonia, frutto di una proposta politica chiara, ma soprattutto esito di un lavoro e di una presenza nel territorio non improvvisata né clientelare. Ma è fatto troppo isolato per poter far testo, anche se indica un metodo e un modello.
Rispetto a Palagonia, centro vitale per la mafia, c’è piuttosto da chiedersi con preoccupazione, come faranno questi giovani, con quali problemi e con quali rischi, a governare un paese partendo da una situazione debitoria di 20 milioni di euro lasciati dall’amministrazione uscente.
Ci sembra, per concludere, che la situazione sia ben più grave di quanto non appaia perché, al di là dei singoli risultati, rivela un
A fronte di esso si pone, peraltro, una classe politica balbettante e incapace di formulare una proposta di cambiamento chiara e credibile, tale cioè da farle meritare il titolo di classe dirigente.
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