“Banca Etica nasce dai movimenti” dice Nuccio Aliotta “in particolare da quello pacifista e ambientalista”. Creata in seguito alla disposizione di legge che imponeva di trasformare in banche le Mag (società mutue di autogestione) con capitale superiore ad un miliardo, ha tra i suoi soci fondatori don Ciotti, Alex Zanotelli e varie organizzazioni laiche e cattoliche. Tutte le cooperative sociali nate sui beni confiscati esistono -d’altra parte- grazie a Banca Etica che si impegna, per statuto, nella lotta all’illegalità.
Un modo vigile e profetico di stare dentro la Chiesa, come dimostra la preghiera fatta da don Giovanni Piro davanti alla base di Comiso, in cui veniva ricordato Isaia (trasformeranno le spade in falci) e si evidenziava il disagio dei fedeli per la pretesa di difendere la pace mediante l’uso delle armi. Un disagio certo non condiviso da altri uomini di Chiesa, come Angelo Rizzo, vescovo di Ragusa, dal quale venne benedetta la prima pietra della cappella da costruire, per la modica somma di 4 miliardi, all’interno della base. Troppo cattolici per il mondo laico e troppo laici agli occhi degli altri cattolici, gli aderenti a Pax Christi rivendicano con forza la loro presenza accanto a chi lotta per la legalità.
Entrano nel merito del contenuto del libro (“Il maxiprocesso venti anni dopo. Memoriale del presidente Alfonso Giordano”) i due magistrati presenti al dibattito
Svoltosi tra il febbraio del 1986 e il dicembre 1987, in un arco di tempo molto breve rispetto al gran numero di imputati (476, di cui 220 detenuti), il maxiprocesso fu il frutto del lavoro del pool antimafia voluto da Antonino Caponnetto, di cui facevano parte anche Falcone, Borsellino, e si chiuse con la condanna di molti degli imputati, segnando un momento di svolta. Era la fine della impunità della mafia, sancita dalla miriade di processi conclusi da assoluzioni per mancanza di prove.
Condotto nell’aula bunker appositamente costruita, fu anche un grande evento mediatico, “atteso con speranza dalla parte sana della società, ma guardato anche con scetticismo da chi, Sciascia compreso, riteneva pessimisticamente che tutto sarebbe rimasto come prima”. Si parlò anche di “cultura delle manette” nel timore che al rigoroso accertamento delle responsabilità individuali si sostituisse una sorta di teorema accusatorio.
Ma l’indagine fu precisa e puntuale, la sentenza superò -in buona parte – il vaglio della Cassazione, anche se non fu possibile dimostrare l’esistenza di un “terzo livello” a cui far risalire le decisioni più gravi della mafia. Vennero solo riconosciute convergenze di interessi e connivenze tra mondo politico ed economico da una parte e criminalità organizzata dall’altra.
Fu proprio il maxiprocesso a fare luce sulla realtà criminale catanese, dimostrando non solo la presenza della mafia in una città che ne era ritenuta immune, ma anche il ruolo di Benedetto Santapaola, legato agli imprenditori locali e a pezzi delle istituzioni, come dimostrava la foto, reperita da Falcone, che immortalava sindaco e rappresentanti della Provincia mentre brindavano con il capo riconosciuto della mafia catanese durante l’inaugurazione di un negozio di abbigliamento.
Cosa ha indotto questo uomo colto e riservato a scrivere un libro sull’evento epocale di cui è stato protagonista? Come dice egli stesso, a conclusione dell’incontro, “ritornato, dopo il pensionamento, padrone del mio tempo, sulla spinta delle riflessioni di Jacques Derrida
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su Pio La Torre bisogna stare attenti. Ci sono troppe ombre nel suo cammino di politicante di sinistra. Pare abbia commesso tanti errori ed il suo mondo politico non era proprio impeccabile.