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Parlando del 41 bis e delle priorità della Procura di Catania

E’ ottimista e pensa in positivo per quanto riguarda la lotta alla mafia, il procuratore della Repubblica di Catania Giovanni Salvi, presente all’incontro del 27 febbraio, organizzato da Cittainsieme per presentare il libro, “Ricatto allo stato, il 41 bis, le stragi mafiose e la trattativa fra Cosa nostra e le istituzioni”. Con il Procuratore, la giornalista Carmen Greco che moderava, padre Salvatore Resca, nelle vesti di padrone di casa dell’Associazione e, naturalmente, l’autore, Sebastiano Ardita, magistrato, già direttore dell’Ufficio detenuti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ed ora, fresco di nomina, a soli 46 anni, procuratore aggiunto a Messina.
Altro che trattativa! il reggente della Procura etnea ha sottolineato i progressi nella lotta alla mafia. “Lo Stato – ha affermato il procuratore – non ha ceduto. La lotta alla criminalità organizzata non ha avuto flessioni. Cerchiamo di vedere le cose positive. In questi anni si sono fatti passi avanti straordinari. Pensiamo quali difficoltà hanno dovuto affrontare Falcone e Borsellino per arrivare alla prima sentenza di condanna di Cosa nostra. Da allora ad oggi ci sono stati notevoli progressi. Anche a Catania le organizzazioni criminali sono in grande difficoltà. Le lunghe latitanze sono finite. Sono ormai pochissimi i boss che sfuggono alla giustizia. Dobbiamo essere orgogliosi di quello che è stato fatto. Tutti noi, cittadini, magistrati, forze dell’ordine”.
Sebastiano Ardita, nel corso dell’incontro e nel libro, rinvia alle risultanze dell’inchiesta dei magistrati di Palermo per rispondere agli interrogativi sulla trattativa tra Stato e Cosa nostra. Tuttavia mette insieme una serie di strani eventi che sembrerebbero suggerire l’ipotesi di una interlocuzione, di una trattativa avviata, se non altro da parte della mafia, per ottenere l’abolizione del carcere duro. A cominciare dalla lettera, firmata da parenti di detenuti al 41 bis a Pianosa e all’Asinara e indirizzata all’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, e per conoscenza al Papa, al vescovo di Firenze (autorità religiosa competente su Pianosa) e a Maurizio Costanzo.
“La lettera non avrebbe dovuto essere archiviata in modo sbrigativo – ha detto Ardita- perché conteneva una sorta di victim list, minacce più o meno larvate e messaggi in codice, riferimenti a futuri attentati”. Alcuni dei quali si sarebbero verificati puntualmente: vedi l’attentato a Maurizio Costanzo, quello di via dei Georgofili, quello di San Giorgio al Velabro e che furono reazioni proprio al 41 bis. “Quel regime fu un trauma per Cosa nostra che reagì anche dopo gli omicidi dei magistrati e le stragi – ha detto ancora Ardita – con l’uccisione di agenti di polizia penitenziaria colpevoli di applicarlo”
“Il fine del 41 bis, però, – così il Procuratore Salvi- non è peggiorare le condizioni di vita dei detenuti ma interrompere i contatti tra il carcere e l’esterno“. “Penso – ha quindi aggiunto Sebastiano Ardita – che il 41 bis abbia impedito nuove stragi e omicidi e renda compatibile il mondo delle garanzie con quello delle sicurezze, nel modo migliore possibile”.
Eh già, perché di garanzie hanno parlato e molto, sia Salvi che Ardita, dell’importanza per i magistrati di recarsi dentro le carceri, di conoscere la vita dei carcerati, del reinserimento nella società, “un faro, un obbiettivo utopistico”.
Stimolato dalle domande del pubblico il procuratore ha poi parlato del lavoro in procura e delle carenze di organico, di strutture, di locali. “La giustizia a Catania viene amministrata in 13 immobili diversi, 11 in locazione” – ha detto Salvi – con evidenti difficoltà di comunicazione tra gli uffici. Voi cittadini potete fare molto per aiutare la magistratura visto che gli immobili sono comunali come quello acquistato per 50 miliardi di lire e lasciato nel degrado”.
Salvi ha presentato, poi, le linee guida del suo ufficio. “Una maggiore attenzione alla cosiddetta criminalità minore, definita bagatellare ma che bagatellare non è. Il furto di rame sarà una priorità; è un reato grave per combattere il quale devono essere impiegate consistenti energie investigative. E’ grave perché è una spia della mancanza di controllo del territorio e dell’abitudine all’illegalità. Prioritaria anche la lotta all’uso predatorio delle risorse pubbliche, non soltanto da parte dei grand commis dello Stato”.
Ci saranno poi le direttissime, giudizi immediati, emessi entro due o tre giorni, che dovrebbero aggredire l’eccessivo carico di lavoro degli uffici, consegnando subito al carcere i colpevoli, restituendo alla libertà gli innocenti e facendo diminuire, altresì, il sovraffollamento degli istituti di pena. E la lotta alla mafia? “Naturalmente la lotta alla criminalità organizzata non sarà abbandonata. Della Direzione distrettuale antimafia, che seguirò personalmente con procuratori aggiunti dedicati, farà parte un magistrato in più”.

Argo

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