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Tizian, la Padania è Cosa Nostra

Il Nord come il Sud, in un’Italia unita dallo stesso predominio, quello delle mafie. E’ la tesi sostenuta da Giovanni Tizian nel suo libro, “Gotica. ’Ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea” presentato lunedì 13 nell’aula magna di Scienze Politiche, per iniziativa di Libera e della Fondazione Fava, relatori Francesca Longo, Claudio Fava, Ivan Lo Bello e lo stesso Tizian, con la moderazione di Dario Montana.
Di mafie si interessa da tempo questo giovane giornalista precario, figlio di un funzionario di banca che ha pagato con la vita la sua integrità morale, a Bovalino, in Calabria. Trasferito con la famiglia a Modena, Giovanni scopre, guardandosi attorno, che la mafia è presente anche nella sua nuova città, e in tutto il Nord. E capisce quanto sia errato ridurre la questione mafiosa a un fatto di ordine pubblico, senza capire che il cuore del problema sta nell’economia.
L’Italia descritta da Tizian è infatti “un immenso campo di affari”, in cui i boss decidono chi debba lavorare e chi no, in cui gli imprenditori utilizzano i servizi della criminalità organizzata perchè permettono più ampi margini di guadagno, in cui la politica e la pubblica amministrazione vengono coinvolte attraverso lo scambio di vantaggi e la corruzione.
Non è una novità degli ultimi anni, perchè la mafia fa affari nel Nord Italia già dagli anni ’50.
Oggi il fenomeno si è ampliato e rafforzato, al punto che non si può parlare di infiltrazioni mafiose, ma di un vero e proprio “radicamento” nel territorio. Di questa penetrazione mafiosa nelle regioni del Nord è stato ritenuto responsabile il “soggiorno obbligato” a cui molti mafiosi furono condannati nel dopoguerra, ma questa “misura sciagurata” non può spiegare il motivo per cui molti criminali, conclusa la condanna, siano rimasti in questi luoghi, accettati di buon cuore dalla borghesia locale che li ha coinvolti nei propri affari. Non a caso troviamo i boss fotografati a braccetto con i politici locali.
Anche qui i settori in cui è più forte la presenza mafiosa sono quelli chiave, come il movimento terra, di cui tutti gli imprenditori edili si servono. E la collusione tra imprenditoria locale e clan è ormai assodata. E’ stato un imprenditore milanese, Maurizio Luraghi, a costruire le sue palazzine su rifiuti tossici scaricati nel terreno dai sodali della cosca Barbaro-Papalia, in spregio ad ogni regola e al rispetto della salute e dell’ambiente,. E siamo a Buccinasco, un paese delle cintura milanese, nel profondo Nord.
Ormai il “laboratorio” della autostrada Salerno-Reggio Calabria ha fatto scuola e lo stesso sistema è stato applicato nella A4, nella costruzione di alcuni tratti dell’Alta Velocità e nelle tangenziali di alcune città settentrionali.
Sono teatro di queste gesta soprattutto i piccoli centri, quelli in cui è più facile esercitare il controllo del territorio e gestire le alleanze politice, ma non manca il coinvolgimento di grandi strutture come l’azienda ospedaliera della provincia di Pavia, ricorda Fava. Il meccanismo è lo stesso usato al Sud, perchè l’ospedale è un grande dispensatore di potere, da cui si possono gestire le assunzioni, gli appalti per le forniture, i voti.
Le mafie, ormai parte integrante dell’economia locale, e legittimate dalla classe dirigente, sono i veri “regolatori del mercato”, eliminano la concorrenza, creano cartelli, si fanno pagare il pizzo in modo surrettizio.
La loro ascesa è stata silenziosa. Secondo Tizian persino i sequestri degli anni ’90 possono essere considerati “un’arma di distrazione di massa”, utilizzata per allontanare l’attenzione dai loro veri affari, quelli che crescevano nelle regioni del Nord.
L’economia illecita non ha più confini. Lo conferma la professoressa Longo, che studia proprio le mafie trasnazionali e mette tuttavia in guardia dal ritenere che si siano per questo allentati i legami con i territori di origine. Le fa eco un altro dei relatori, il presidente della Confindustria siciliana, Ivan Lo Bello: l’espansione delle mafie al Nord Italia, e anche al Nord Europa, non deve fare trascurare il persistente radicamento nei territori di appartenenza, al Sud, da cui le mafie continuano a trarre la propria linfa.
Eppure proprio questo Sud, che continua ad essere guardato con atteggiamento razzista, ha oggi qualcosa da insegnare al Nord. Perchè il Sud ha ormai preso coscienza della presenza delle mafia al proprio interno, accetta di parlarne e sperimenta nuove strade per contrastarla.
A Nord ancora questo non accade. La presenza della mafia continua da esere negata o sottovalutata, nonostante le condanne e i comuni già  sciolti per mafia. Non si è creato ancora quel clima di attenzione e di allarme che oggi impedirebbe a un boss calabrese, già condannato, di intestarsi 5 società, come è accaduto in Emilia.
Può accadere anche, come riferisce Tizian, di sentirsi rispondere dalla gente, dopo una condanna esemplare di ‘ndranghetisti a Varese, che “qui il problema sono i marocchini”. Solo dalla consapevolezza del fenomeno può nascere la reazione, la ricerca di forme di contrasto che non siano limitate alle aule di tribunale, l’individuazione di buone pratiche e strategie efficaci.
Quello che Gotica mette in discussione è anche un luogo comune, che la mafia attecchisca solo dove non c’è senso civico, dove manca il “capitale sociale”. Non potremmo altrimenti spiegare la diffusione della criminalità organizzata nella civilissima Emilia, patria della Resistenza e delle lotte sindacali, terra d’origine di quel sistema cooperativo che oggi tende purtroppo a degenerare.
La risposta cerca di darla Lo Bello e la individua nel progressivo scadimento di valori, in una degenerazione civile e morale che attraversa tutto il paese. Il vero problema, a suo parere, è quella vasta area di indifferenza morale che diventa tacito consenso, quasi più preoccupante dell’attiva collusione.
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