Trapani, la petroliera occupata e il diritto al lavoro

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foto CreaTV

Il 25 novembre del 2011 chi si trovava in Antartide o in Sudafrica poteva ammirare una importante eclissi solare, nello stesso momento ventuno operai della società Cantiere Navale di Trapani salivano a bordo e occupavano la petroliera ”Marettimo M”, ferma da tre anni nel bacino perché non ancora ultimata per mancanza di fondi, e che, nelle intenzioni della società armatrice, sarebbe dovuta essere trasferita in un altro cantiere per il completamento dei lavori.
Dal 29 settembre i lavoratori avevano iniziato un presidio davanti ai cancelli della sede aziendale per protestare contro la messa in cassa integrazione di tutti i 59 dipendenti, cui era seguito l’avvio della procedura di mobilità.
Il 21 dicembre, mentre continuava l’occupazione, l’Azienda ha inviato ai lavoratori la lettera di licenziamento, azzerando tutto il personale della CNT. Il 30 gennaio, infine, è arrivata la diffida a interrompere l’occupazione, con la minaccia di fare ricorso all’autorità giudiziaria.
Nel frattempo, la SATIN SPA invitava i lavoratori CNT a recarsi nei suoi uffici per “valutazioni di utilizzo della forza lavoro che per anni è stata impegnata nel settore cantieristico”. In sostanza, dichiarava la propria disponibilità ad assumere, vedremo come e a quali condizioni, gli ex lavoratori CNT. Apparentemente una buona opportunità.
Va però rilevato che la Satin detiene il 97% delle quote societarie del CNT, il CdA è quasi lo stesso, identica la proprietà (D’Angelo). Secondo i lavoratori in lotta la proposta va, perciò, letta all’interno di un quadro più complesso e preoccupante.
Preliminarmente, va detto che l’eventuale assunzione non avverrebbe per tutti i lavoratori contemporaneamente: 7 inizierebbero a lavorare subito, 10 entro il mese di aprile, 23 entro giugno e i restanti 19 a dicembre. Al di là dei tempi differenziati, i lavoratori che occupano la petroliera temono che l’intera operazione nasconda ben altri obiettivi.
In effetti, come scrive A. Vella su Monitor, “Il timore dei dipendenti è che l’azienda voglia mettere in atto una manovra volta a sanare più che i Cantieri la società madre dell’holding di famiglia, la Satin. Questa, che detiene il 97 per cento delle quote societarie del Cnt, è la vera indebitata. Il cda, che è quasi lo stesso, vuole simulare una cessazione di attività del Cnt per salvarla, è l’accusa del Collettivo dei lavoratori.
Ecco quale è il disegno sulla carta: il Cnt trasferirebbe alla Satin il suo ramo produttivo e metterebbe in mobilità tutto il personale. Formalmente quindi non cesserebbe l’attività. La Satin a sua volta pagherebbe a questa un canone di affitto di 700 mila euro annui per usufruire della concessione demaniale e delle infrastrutture del bacino. Tali somme servirebbero, altresì, a saldare il credito che la controllante vanta nei confronti della controllata. Ossia, in definitiva, nei confronti di sé stessa.
Paradossalmente la Satin, pur costituendo concretamente la cassa del Cnt, deve a questo 3,4 milioni di euro per i lavori di costruzione della petroliera eseguiti in subappalto dalla controllata. Con il nuovo disegno industriale, invece, il gruppo ripianerebbe le proprie passività che ammontano complessivamente a 18 milioni di euro (11 milioni i debiti della Satin, 7 milioni quelli del Cnt) e potrebbe vedersi riaprire le porte degli istituti di credito”.
Se queste preoccupazioni hanno un fondamento, la riassunzione dei lavoratori ex CNT sarebbe tutt’altro che sicura. Si comprende, perciò, il disappunto, per usare un eufemismo, con il quale gli occupanti hanno appreso che giovedì 26 gennaio, presso i locali della Prefettura, i sindacati FIOM-CGIL, FIM-CISL, UILM-UIL e FAILMS hanno siglato un accordo con la SATIN, ritenendo credibile il piano industriale precedentemente descritto.
Un disaccordo radicale, come si è detto, rispetto ai tempi e alle modalità delle riassunzioni che mettono in discussione la stessa possibilità che i lavoratori ritornino realmente a lavorare, e che, in caso di esternalizzazione, prevedono la possibilità di riassunzione con contratti a tempo determinato.
Ma, soprattutto, hanno ritenuto assolutamente inaccettabile che a firmare l’accordo siano state sigle sindacali che, tutte insieme, non rappresentano la maggioranza dei lavoratori, visto che su 59 ben 32 sono iscritti alla FLM CUB (Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti – Confederazione Unitaria di Base). Sigla sindacale non presente al tavolo delle trattative, indisponibile, comunque, a sottoscrivere un accordo che non dà reali garanzie.
In sostanza, il “metodo Marchionne”, che tiene illegittimamente fuori dalla FIAT il sindacato più rappresentativo (la FIOM CGIL), in questo caso è stato applicato, anche dalla FIOM, per tenere fuori dalla CNT il sindacato più rappresentativo, la FLMU CUB.
Siamo, perciò, lontani dalla fine dell’occupazione e della lotta che per la maggioranza dei lavoratori continua con l’obiettivo di ottenere il reintegro immediato di tutti i dipendenti nella C.N.T.; il mantenimento, a seguito del reintegro, delle stesse qualifiche e mansioni per tutti i lavoratori, e di tutti i diritti acquisiti negli anni di lavoro; il saldo di tutti i crediti nei confronti dei dipendenti entro e non oltre i periodi stabiliti dalla normativa vigente.
Con la consapevolezza, come si legge in uno striscione, che la crisi non si risolve licenziando gli operai, ma cacciando gli imprenditori incapaci.

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