- l’evasione fiscale (intendendo sia la mancata fatturazione o emissione di scontrini fiscali, sia l’irregolarità contributiva sulla manodopera utilizzata),
- l’utilizzo di materiale scadente (vedi i casi di cemento impoverito o la vendita di prodotti adulterati o, più in generale, dannosi per la salute)
- l’effetto disincentivante per nuovi investimenti (soprattutto di operatori del centro-nord o stranieri).
Mentre la mafia cerca di modificare il suo comportamento per meglio garantirsi la continuità del controllo sul territorio, non altrettanta organicità e sistematicità si notano nelle strategie antimafia.
Nonostante si siano moltiplicate le iniziative nel campo della educazione alla legalità e orientate a far conoscere le mafie e a sviluppare la sensibilità e l’impegno delle nuove generazioni sul fronte dell’antimafia (vedi RapportoRes “Tra sovversione e collusione”), “c’è un disimpegno complessivo dello Stato e della politica, che conoscono solo la logica dell’emergenza da tamponare” (vedi La denuncia del procuratore Ingroia di Riccardo Arena (ASud’Europa, anno 5 n. 45).
Sarebbe il caso che anche il mondo politico si comportasse come ha fatto Confindustria, espellendo, per esempio, chi va a braccetto con esponenti della criminalità organizzata”.
“Il tessuto economico-sociale manifesta – continua Ingroia – importanti segnali di resistenza, ma anche di voglia di mantenimento dello status quo. In termini numerici, noi abbiamo centinaia di commercianti e imprenditori che si ribellano — centinaia se si va anche oltre Palermo — ma ce ne sono migliaia e migliaia che invece continuano, volenti o nolenti, a comporre il tessuto connettivo mafioso”.
Per anni buona parte dell’imprenditoria siciliana – si legge in “L’isola felice. Le aziende siciliane contro la mafia” di Serena Uccello e Nino Amadore – ha intessuto rapporti con un sistema di potere che è stato una sorta di centro multi servizi: “siamo stati in tanti, commercianti e industriali, a pagare ingenti somme di denaro al racket delle estorsioni. Non solo per paura, ma un po’ anche per cultura. Ho cominciato giovanissimo, a diciannove anni, dopo la morte di mio padre. Anch’io pagavo il pizzo, tacevo e sopportavo. Oggi, a quarantatre anni, ho un’azienda con settanta dipendenti e con clienti in varie parti d’Europa. Tutto qui sta cambiando. E di fronte ai soprusi della mafia, in tanti abbiamo detto basta e capito che senza legalità non c’è sviluppo» (p. 201).
Sviluppo e legalità hanno bisogno non solo di comportamenti coerenti di imprenditori e di azioni di contrasto ad opera delle forze dell’ordine e della magistratura, ma anche di prese di posizione chiare e concrete da parte di ogni cittadino:
- non eleggere politici che hanno avuto frequentazioni con esponenti di dubbia appartenenza,
- pretendere all’interno degli enti ove vengono eletti azioni concrete di contrasto alle mafie,
- privilegiare con i nostri consumi le aziende che maggiormente si sono esposte contro le organizzazioni criminali.
Vorremmo non leggere più notizie relative alla chiusura di negozi che, ribellatisi al pagamento del pizzo, sono stati abbandonati anche dai clienti.
A Palermo sono 691 i commercianti pizzo-free: gli imprenditori che fanno parte dell’associazione antiracket Libero Futuro si rifiutano di pagare e si tutelano facendo denunce collettive. Possiamo aiutarli acquistando i loro prodotti e pubblicizzando i loro nomi tra amici e parenti.
Ecco qui la lista pizzo free presentata nella nostra città dall’associazione Addio Pizzo Catania, ma la strada da percorrere è ancora lunga.